La Corte di Cassazione, con sentenza n. 898 del 17 gennaio 2014, ha ribadito che "in riferimento al regime precedente all'art. 4 D.lgs. n. 216/2003 che alla fattispecie in esame non si applica ratione temporis, per "mobbing" si deve intendere una condotta del datore di lavoro che, in violazione degli obblighi di protezione di cui all'art. 2087 c.c., consiste in reiterati e prolungati comportamenti ostili, di intenzionale discriminazione e di persecuzione psicologica, con mortificazione ed emarginazione del lavoratore.
Ossia si intende (...) una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili, che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità. Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro rilevano i seguenti elementi, il cui accertamento costituisce un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se logicamente e congruamente motivato: a) la molteplicità dei comportamenti a carattere persecutori o, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio." Indice della guida sul mobbing:
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- Il mobbing familiare
- Il mobbing scolastico
- Cassazione: configurabilità del mobbing e onere della prova
- Il mobbing infermieristico
- Cassazione: se l'azienda non protegge dal mobbing, il lavoratore va risarcito
- Difendersi dal mobbing
Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto che le allegazioni esposte nel ricorso introduttivo del giudizio - relativo all'illegittimità delle note di qualifica (mediocre) attribuite dal datore di lavoro e all'illegittimità della condotta di mobbing di cui era stata vittima la lavoratrice ricorrente, nonchè al risarcimento del danno biologico, del danno esistenziale e del danno alla professionalità, danni tutti, questi, assunti come causati dalla illegittima condotta persecutoria del datore di lavoro - non fossero idonee a fondare una pronunzia favorevole alla lavoratrice in relazione alla genericità delle medesime.
La Corte d'appello ha confermato questa valutazione con motivazione ampia, puntuale ed immune da vizi logici. E' mancata - secondo la Corte territoriale - la specificazione delle circostanze di luogo, di tempo e dei singoli soggetti che avrebbero realizzato i singoli comportamenti denunziati. E' mancato nel ricorso introduttivo ogni riferimento alla correlazione tra professionalità precedentemente acquisita e le nuove mansioni. In particolare la lavoratrice nulla ha detto sulla personalizzazione e specifica discriminazione in suo danno rispetto ai colleghi di lavoro inseriti nelle medesime articolazioni organizzative; e comunque - aggiunge la Corte territoriale - ogni intento persecutorio risultava escluso posto che la lavoratrice fu trasferita e spostata dall'uno all'altro dei settori o uffici unitamente agli altri colleghi di lavoro per ragioni organizzative che erano risultate documentate. Inoltre generica, perché priva di riferimenti temporali, era l'allegazione relativa alla mancata concessione dei permessi nelle giornate richieste.
La Corte d'appello ha poi condiviso la valutazione di merito del Tribunale secondo cui i singoli fatti denunziati come ascrivibili ad un unico intento persecutorio ciascuno in sé considerato non presentavano il carattere della ritorsività ed ostilità.
La Suprema Corte, rigettando il ricorso della dipendente, ha escluso la condotta di mobbing - perché non puntualmente e specificamente dedotta, e quindi non provata - con conseguente assorbimento delle censure relative al risarcimento del danno.
Quanto alla condotta più specifica - quella dell'errata attribuzione della qualifica di "mediocre" - La Corte d'appello con tipico apprezzamento di merito ha ritenuto la inidoneità delle allegazioni in punto di verificazione dei danni, comunque genericamente indicati come biologico, esistenziale, patrimoniale ed alla professionalità, riferiti - complessivamente ed indistintamente - alla allegata condotta mobbizzante e non già distintamente (oltre che a quest'ultima anche) al riconoscimento per alcuni anni della nota di qualifica di "mediocre".