Il tradimento non è da solo sufficiente a fondare la pronuncia di addebito se manca la prova della specifica efficienza causale nella determinazione della crisi

di Lucia Izzo - La scoperta di un tradimento mette a dura prova la vita di relazione e rappresenta frequentemente l'incipit che porta alla disgregazione della coppia. Non di rado, infatti, il tradimento rappresenta un elemento preso in considerazione ai fini dell'addebitabilità della separazione nei confronti del coniuge fedifrago, il cui atteggiamento ha portato alla crisi della relazione.


Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità ha più volte evidenziato che la violazione dei doveri coniugali non è sufficiente a fondare la pronuncia di addebito della separazione se non vi è altresì la prova che tale violazione abbia avuto una specifica efficienza causale nella determinazione della crisi coniugale e della

intollerabilità della convivenza (Cass. civ. sez. I, n. 2059 del 14 febbraio 2012) .


Sulla base di tale principio, la Corte di Cassazione, sentenza n. 6017/2014, in una causa di separazione tra coniugi ha confermato la non addebitabilità della separazione al marito, incolpato dalla moglie di aver provocato la fine del matrimonio a causa di una relazione extraconiugale (ancora in corso al momento della separazione). La donna, infatti, pur conoscendo la relazione tra il marito e l'amante, aveva tollerato il tradimento per diverso tempo.


Come già evidenziato dalla Corte d'Appello, la relazione extraconiugale dell'uomo non può essere considerata la causa della crisi coniugale, dato che i coniugi erano disposti a proseguire la convivenza e a non chiedere la separazione nonostante fosse ben nota tale relazione, come risulta da una scrittura privata; inoltre, il successivo allontanamento del marito dal domicilio familiare è stato interpretato dalla Corte distrettuale come la presa d'atto della intollerabilità della convivenza, ormai concepita come mera conservazione formale dello status coniugale e priva di affectio coniugalis.


Anche il Tribunale di Roma, nella recente sentenza n. 15488/2015, ha negato l'addebito della separazione al coniuge fedifrago laddove l'altro, consapevole del tradimento, abbia continuato la convivenza per diversi anni finché l'intervento del giudice era stato sollecitato dal partner. 


Il tradimento, ribadisce il Tribunale secondo l'insegnamento della Cassazione, non è da solo sufficiente alla costruzione dell'addebito in capo al coniuge resosene responsabile, occorrendo per contro un nesso di causalità tra la violazione del dovere di fedeltà e la rottura del consortium familiae, nonchè l'effettuazione di un'indagine comparativa delle condotte dei coniugi, non valutabili separatamente, volta ad evidenziare se la condotta incriminata sia la causa e non invece la conseguenza di una crisi coniugale già in atto.


Nel caso di specie la coppia viveva separata in casa, senza condividere il letto e in continuo disaccordo, poichè a seguito della rivelazione del tradimento, il marito aveva deciso di continuare la convivenza per circa tre anni e non aveva fatto il primo passo per la separazione. 


In una tale situazione appare evidente un preesistente contesto di disgregazione della comunione spirituale e materiale, in una situazione stabilizzata di reciproca sostanziale autonomia di vita, non caratterizzata da alcuna affectio coniugalis.


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