Accolto parzialmente il ricorso, la Consulta ha recepito le indicazioni dell'Avvocatura dello Stato circa l'art. 81 della Costituzione.

La Corte Costituzionale si è finalmente pronunciata sul blocco dei contratti e degli stipendi che ha coinvolto negli ultimi anni oltre 3 milioni di dipendenti pubblici.


La manovra risale al 2010 quando l'allora ministro Giulio Tremonti ha previsto il congelamento degli stipendi dei dipendenti pubblici per un triennio, termine poi prorogato annualmente sia dal governo Letta che dal governo Renzi.

La motivazione? Contenere la spesa pubblica, preservare i conti dello stato in un periodo di acclarata crisi economica.


La reiterata e prolungata efficacia della manovra ha tuttavia sollevato numerose critiche e ricorsi da parte di dipendenti pubblici, sindacati e giudici del lavoro poiché avrebbe violato numerosi precetti costituzionali quali, esemplificativamente,  la tutela del lavoro e il diritto alla retribuzione (artt. 35 e 36 Cost.), la libertà sindacale (art. 39), l'eguaglianza (art. 3) e l'adempimento dei doveri di solidarietà economica e sociale (art. 2).


L'incoerenza della manovra è stata proprio quella di colpire in maniera irragionevole e disomogenea gli stipendi dei dipendenti pubblici, senza un'equa distribuzione dei sacrifici e con esoneri ingiustificati, andando così ad intaccare gli stipendi più bassi e non i soggetti con reddito più elevato

Si palesa quindi anche la lesione dell'art 53 della Costituzione ("Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva") oltre che del principio di solidarietà economica.


L'Avvocatura dello Stato ha però invitato la Corte Costituzionale a considerare gli effetti di un'eventuale pronuncia di incostituzionalità vista la lettera l'art. 81 Cost. secondo cui "lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico". 

Il rischio di una simile decisione sarebbe stato quello di far saltare il bilancio dello Stato poiché, secondo l'Avvocatura, il costo dello sblocco sarebbe costato non meno di 35 miliardi di euro per il periodo 2010-2015 e 13 miliardi annui dal 2016, cifre aspramente contestate nel loro ammontare dai sindacati Cgil, Cisl e Uil.


L'atteso parere della Consulta sulla questione ha confermato l'illegittimità del blocco dei contratti e degli stipendi della P.A., ma la decisione non avrà effetto retroattivo e sarà attuata solo a partire dalla pubblicazione della sentenza

In sostanza non saranno dovuti arretrati, ma gli stipendi verranno sbloccati a partire dai prossimi anni in quanto sarebbe ormai illegittimo prorogare ancora il blocco, dovendo garantire ai lavoratori una retribuzione dignitosa.



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