Un emendamento al Decreto Sostegni in fase di conversione al Senato valido negli obiettivi, ma iniquo e controproducente nella formulazione

Assegno ai genitori separati: i contenuti dell'emendamento

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Con un emendamento al Decreto Sostegni, in aula al Senato per la conversione in legge, un gruppo di senatori propone l'inserimento dell'articolo 12 bis, dal titolo "Istituzione di un fondo per genitori lavoratori separati o divorziati al fine di garantire la continuità di versamento dell'assegno di mantenimento". A prima vista sembrerebbe trattarsi di un provvedimento quanto mai auspicabile, in soccorso di dimostrate situazioni di disagio. Viene disposto, infatti, un contributo economico a favore di genitori lavoratori, separati o divorziati, che abbiano cessato, ridotto o sospeso la loro attività lavorativa allo scopo di permettere loro l'erogazione dell'assegno di mantenimento. Tuttavia, a ben guardare, nascono non pochi motivi di perplessità.

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Criticità concettuali e metodologiche

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Salta anzitutto immediatamente agli occhi l'uso dell'articolo determinativo per indicare quella modalità di contribuzione (l'assegno) che, viceversa, il legislatore aveva ipotizzato in subordine, riservandole un ruolo integrativo o perequativo, e pertanto solo eventuale.

Avrebbe potuto essere (e in effetti lo è tuttora) una eccellente occasione per ribadire che la forma principale e ordinaria di contribuzione al mantenimento dei figli è quella diretta, per capitoli di spesa. In questo modo, invece, si finisce per accreditare un sistema non allineato con le indicazioni del legislatore che, in regime di affidamento condiviso, ha logicamente disposto l'obbligo per ciascuno dei genitori di provvedere personalmente e direttamente ai bisogni dei figli e non che un genitore finanziasse l'altro delegandogli i propri compiti di cura. In questo senso, pertanto, già si crea una lesione di loro indisponibili diritti, a partire da quello alla bigenitorialità.

Allo stesso tempo, vengono curiosamente penalizzati proprio quei genitori, parimenti in difficoltà economiche, che tuttavia hanno aderito fedelmente alle prescrizioni di legge e hanno messo in pratica la contribuzione diretta, proporzionalmente alle risorse di ciascuno e senza bisogno di assegni. Essi infatti, che pure hanno subito per effetto della pandemia le medesime penalizzazioni, vengono esclusi da qualsiasi forma di sostegno.

Del resto tutta la formulazione è abbastanza contorta, se si pensa che scrivendo che si vuole "garantire ai lavoratori il versamento dell'assegno …" si intende che non che essi certamente incasseranno denaro ad essi destinato, ma che certamente disporranno di denaro da versare ad altri soggetti… Così come nell'individuare le categorie di beneficiari si equiparano soggetti che hanno chiuso, ridotto o sospeso l'attività lavorativa senza prevedere, sia pure qualitativamente, differenze di trattamento né accennare all'entità della riduzione. Il che creerà molto probabilmente una quantità di attese vane ovvero di richieste cestinate.

Neppure può essere ignorato, in una realistica visione dei comportamenti sociali, che una disposizione del genere andrà sicuramente ad avvantaggiare anche quella parte dei cittadini, augurabilmente minoritaria, che non ha fatto alcuno sforzo per continuare a provvedere ai bisogni dei figli, ma ha immediatamente colto l'occasione della pandemia per omettere la contribuzione. Mentre, al contrario, quanti a dispetto delle difficoltà della crisi economica che li ha colpiti hanno continuato, mettendo i figli al primo posto, a fare ogni tipo di sacrificio per versare l'assegno, avranno difficoltà a dimostrare il proprio stato di necessità e saranno più facilmente esclusi dal sostegno statale.

Circostanza che conduce ad una ulteriore considerazione, non di piccolo conto: poiché quella partecipazione economica era indispensabile per coprire i bisogni dei figli, nel momento in cui l'obbligato abbia già omesso di versarla, visto che i figli sono comunque sopravvissuti, chi ha provveduto alle loro necessità? Evidentemente l'altro genitore, che quindi ha pagato per sé e per l'altro. Quindi, guardando al passato è quel genitore che avrebbe diritto a un ristoro, non l'inadempiente, così come, guardando al futuro è direttamente a suo favore che dovrebbe essere disposto il sostegno.

Criticità applicative

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Tutto questo, per gli aspetti generali e di principio. Pensando all'applicazione, comunque, sorgono ulteriori e pesanti dubbi. Nella parte quantitativa, infatti, si afferma che verrà disposta la copertura in tutto o in parte dell'assegno di mantenimento, fino a 800 €. Una formulazione che lascia intendere che ove l'assegno sia di entità inferiore verrà coperto integralmente, mentre se di entità superiore ci si fermerà a quella cifra. Il tutto a prescindere dai redditi degli obbligati il che fa venire meno anche ogni ipotesi di proporzionalità inversa del soccorso statale, inversa rispetto alle disponibilità economiche degli interessati. Potrà, infatti, verificarsi che chi ha messo a disposizione dei figli e del coniuge la propria abitazione versi un assegno bassissimo a differenza di chi, a parità di reddito complessivo, si è visto condannare dal giudice ad una elevata contribuzione indiretta, proprio perché non aveva ceduto la casa ai figli.

Il che introduce un ennesimo motivo di perplessità: la fonte degli oneri che i genitori devono sopportare in favore dei figli, ovvero la distinzione fra mantenimento ordinario e le cosiddette "spese straordinarie". Come è noto, l'assegno di mantenimento comprende di regola le sole spese per le esigenze della vita quotidiana, rimanendone fuori necessità che a mano a mano che il figlio diventa grande costituiscono in misura crescente la parte preponderante degli oneri per il suo mantenimento. Si pensi alle spese per l'istruzione, i mezzi di trasporto, le attività sportive e ricreative, le vacanze; eccetera. Tutti questi oneri non figurano nell'assegno, ma vanno di regola a carico dei genitori nella misura del 50%, per cui rispetto al soccorso statale previsto dall'emendamento, è come se non esistessero.

Conclusioni

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Concludendo, l'emendamento qui discusso, vista la sua matrice, la stessa del ddl 735, sembra soffrire dei medesimi scompensi: finalità assolutamente condivisibili, modalità per realizzarle del tutto inadeguate e addirittura controproducenti. Una valutazione condivisa dalle principali associazioni di genitori che operano nel settore (per altro non consultate), che si sono già pronunciate negativamente.

Si poteva pensare ad altro, ad esempio a interventi di natura fiscale, a un alleggerimento inversamente proporzionale al reddito residuo effettivo, a prescindere dalla modalità utilizzata nel provvedere ai bisogni dei figli: soprattutto perché con l'emendamento si va a ufficializzare e consolidare una modalità, il mantenimento indiretto, che penalizza i figli, privandoli di una parte sostanziale dei loro diritti.


Foto: 123rf.com
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