I "garzoni" avvocato liquidati dal Guardasigilli con un post su Facebook la cui sintesi è: "C'è la pandemia, rinviamo gli esami a non si sa quando"

Esame forense, rinvio con un post su Facebook

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In barba alle fonti del diritto e alla rigorosità della logica giuridica richiesta per il superamento degli esami scritti, il Ministro della Giustizia liquida i praticanti avvocato con un post su Facebook la cui sintesi è: "c'è la pandemia, rinviamo gli esami 2020 a non si sa quando. Forse alla primavera 2021, ovviamente se tutto va bene".

Una mancanza di rispetto che non ha eguali nella storia delle professioni e che lascia trasparire il modo in cui le istituzioni intendono, in realtà, il praticante avvocato: un garzone a cui sono affidate le mansioni più semplici o insignificanti, privato della personalità e della dignità lavorativa, senza certezze né legittime aspettative di crescita e di guadagno.

Le legittime aspettative

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A proposito, era stato proprio il sottosegretario alla giustizia Andrea Giorgis a parlare di legittime aspettative commentando il disposto normativo del Decreto Rilancio e la disparità di trattamento tra i praticanti avvocato e gli altri professionisti. Peccato, però, che quelle legittime aspettative nulla avessero a che vedere con gli interessi dei praticanti avvocato.

In data 13 maggio 2020, Giorgis dichiarava infatti che la disparità di trattamento rispetto agli esami di abilitazione delle altre professioni (per cui era stato previsto esclusivamente l'orale abilitante) si giustificava perché nel caso dei praticanti avvocato vi erano delle prove "svolte", motivo per cui non si può pregiudicare "la legittima aspettativa di coloro che hanno sostenuto dette prove e che giustamente attendono di conoscere i risultati dei loro elaborati scritti".

Appunto. Oggi le prove "svolte" non ci sono più, tuttavia, per il Ministero della Giustizia permangono legittime aspettative di svolgimento degli scritti.

Il riferimento a quanto "già fatto, svolto o stabilito" quale giustificazione tautologica delle decisioni prese dal Ministero della Giustizia (è deciso perché si è già deciso così) pare essere, in realtà, una costante del sottosegretario, che nel suo intervento del 5 novembre 2020 ha fatto riferimento a uno scritto 2020 "già programmato".

Stato, OCF e CNF: tra cultura patriarcale e manipolazione machista

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Come definire uno Stato in parte gestito da soggetti ampiamente affermati nel mercato ma disponibile, seppur con artifizi retorici, a mettere in pericolo la vita dei suoi cittadini e delle sue cittadine più giovani? Come definire, altresì, uno Stato disposto a ostacolare il progetto di vita e i diritti economici e sociali di migliaia di praticanti avvocato, pur di difendere gli interessi di un'oligarchia imperante?

È quanto ci si chiede a seguito delle delibere dell'Organismo Congressuale e del Consiglio Nazionale Forense, composti, tra l'altro, da soggetti in conflitto d'interesse che gestiscono scuole private in preparazione all'esame di avvocato, o da soggetti segnalati finanche alla CEDU (ricorso 13060/18) per condotte discriminatorie avverso i praticanti avvocato (OCF).

Da una parte, infatti, la delibera dell'OCF del 24 ottobre 2020 stabilisce che "è comunque di fondamentale e imprescindibile importanza dare corso alla sessione di esame secondo le modalità già in atto, con i soli adeguamenti strettamente necessari allo svolgimento in sicurezza delle prove e pur con le cautele e le precauzioni imposte dalle esigenze igienico-sanitarie".

Dall'altra, invece, in data 29 ottobre 2020 il CNF, "in merito alle prove scritte dell'esame 2020 che si terranno il 15, 16 e 17 dicembre, osserva l'opportunità di consentire alle sottocommissioni che ne ravvisino la necessità motivandola, la correzione da remoto degli scritti, oltre alla necessità di aumentare o meglio dislocare i locali per l'esame, da adibire non solo nelle Corti d'Appello ma anche nelle sedi dei tribunali accorpate per provincia, ovviamente implementando il numero di personale addetto alla vigilanza e alle operazioni di espletamento delle prove scritte, in modo da garantire il diritto alla salute dei candidati. La consapevolezza della complessità di individuare in tempi brevi sedi e personale ulteriore rispetto a quelli programmati e il costante aggravarsi della situazione epidemiologica, induce a prendere in considerazione un rinvio della sessione 2020".

Non senza palesare una certa "preoccupazione" per i praticanti avvocati.

Mentre, infatti, nella delibera dell'OCF si parla della necessità di "dare riscontro alle legittime aspettative degli aspiranti Avvocati che hanno completato il tirocinio e si apprestano a sostenere le prove di abilitazione", per il CNF, "nel determinarne i tempi, tuttavia, occorrerà prestare particolare attenzione in quanto rinviare le prove significa posticipare l'abilitazione dei candidati che concludono la pratica nel corso del 2020 e, a strascico, ritardarne l'iscrizione all'albo che, anche in considerazione delle conseguenze economiche dell'emergenza pandemica, pare suscettibile di rappresentare un significativo pregiudizio per gli aspiranti avvocati".

Il tutto condito con le affermazioni del Ministro Bonafede e del Sottosegretario alla Giustizia Giorgis, che, nonostante l'aleatorietà e la mancanza di trasparenza dell'esame, hanno dichiarato che esso debba mantenere comunque criteri che assicurino la qualità della selezione e i presupposti che ne governano le regole d'accesso.

La domanda sorge allora spontanea: come si possono tutelare le legittime aspettative dei praticanti avvocato se ci si oppone al cambiamento, sottoponendoli alle stesse aleatorie modalità d'esame, per di più in piena pandemia?

Sotto questo aspetto, il discorso del Ministero, dell'OCF e del CNF è del tutto assimilabile alla cultura patriarcale e machista, che pretende di educare e sottoporre a trattamenti privi di qualsiasi dignità un'intera generazione di professionisti.

Una manipolazione lessicale che contribuisce a creare quella che in psicologia è chiamata "perversione del legame", consistente in un equivoco o un imbroglio alla base della relazione tra il praticante avvocato e le istituzioni cui fa riferimento.

Il principio "te pego porque te quiero", in fondo, sta alla base di ogni cultura patriarcale che si rispetti, e la cultura dell'avvocatura dominante pare riprodurlo alla perfezione.

È "ragionevole" pensare che l'esame ci sarà: quando? "Dopo"

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Ed è proprio in quest'ottica patriarcale e machista che si inseriscono il post su Facebook di Bonafede e l'intervento di Giorgis: in primo luogo, con un comunicato del tutto informale che denota la profonda mancanza di rispetto nei confronti di un'intera categoria di professionisti; in secondo luogo, rinviando sine die l'unica possibilità di accesso alla professione e al mondo del lavoro.

In proposito, va ricordato che già in data 27 maggio 2020 Bonafede aveva dichiarato: "l'attuale quadro epidemiologico lascia ragionevolmente ritenere che si possa programmare la prossima sessione di esame di abilitazione di dicembre".

Il 5 novembre 2020, sia Bonafede, sia Giorgis, hanno ancora dichiarato: "a breve indicheremo la nuova data dell'esame: al momento, sembra ragionevole ipotizzare che la prova si possa tenere nella primavera del 2021".

Insomma, a distanza di più di 5 mesi, il Ministro e il suo Sottosegretario continuano a pensare alla ragionevolezza dei tempi in cui programmare un irragionevole esame scritto, figlio di quella cultura patriarcale che essi stessi contribuiscono a perpetuare, nell'ottica di quella perversione del legame che esclude aleatoriamente i praticanti avvocato dal mercato del lavoro, mentre chi dovrebbe tutelarli continua ad arricchirsi con la vendita di codici commentati e di corsi privati in preparazione all'esame, ivi compresi alcuni giudici che compongono i collegi dei TAR, del Consiglio di Stato e della Corte Costituzionale.

Necessità di misure urgenti e distinte modalità d'esame

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Il Decreto Ristori bis, approvato nella notte tra il 6 e il 7 novembre 2020 è intervenuto per consentire la conclusione delle prove orali della sessione 2019, superando le questioni interpretative di cui all'articolo 1, comma 9, lettera z) del DPCM del 3 novembre 2020 che ne aveva disposto la sospensione.

L'art. 25 del Decreto Ristori bis, infatti, recante misure urgenti in tema di prove orali del concorso notarile e dell'esame di abilitazione all'esercizio della professione forense, proroga l'originario limite del 30 settembre 2020, modificando la disciplina contenuta nell'articolo 254, comma 3, del Decreto Rilancio n. 34/2020 come convertito in legge n. 77 del 2020 consentendo la conclusione delle prove orali con modalità di collegamento da remoto.

A fronte dei provvedimenti presi per la conclusione delle prove orali, che sono pubbliche e soggette al principio di trasparenza, si continuano però a proporre soluzioni aleatorie per l'esame scritto, la cui funzione non è consentire una migliore selezione, ma limitare l'accesso alla professione nella logica della cosiddetta teoria calmierante, affermata senza alcuna remora da più esponenti di vertice dell'avvocatura e della magistratura.

Il Ministero adotti, quindi, provvedimenti urgenti, prevedendo modalità d'esame distinte dalle attuali ed evitando di continuare a raccontare la favola della qualità della selezione per giustificare la mancanza di trasparenza e il sistema aleatorio attualmente previsto.

Si smetta, dunque, di trattare i praticanti avvocato come garzoni e si cominci a restituire a questi magüt la dignità e la vera funzione sociale che lo Stato e le istituzioni forensi hanno loro tolto attraverso la perversione del vincolo e la manipolazione lessicale.

Magister, ut supra.


Foto: 123rf.com
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