La reazione del governo centrale spagnolo alla dichiarazione di indipendenza del "Parlament" catalano e il parallelismo con il referendum di Veneto e Lombardia in Italia

di Lucia Izzo - Lo scorso 27 ottobre la Catalogna si è dichiarata indipendente dalla Spagna, una rivoluzione che era nell'aria dopo gli esiti schiaccianti del referendum tenutosi il 1° ottobre 2017: in tale occasione, oltre il 90% dei votanti della storica regione spagnola aveva dato risposta affermativa al quesito "Vuoi che la Catalogna sia uno Stato indipendente sotto forma di Repubblica?".


In molti si erano chiesti se il Governo Puigdemont avrebbe poi dato seguito alla voce popolare con un provvedimento concreto e questo è finalmente giunto: a seguito di una votazione a scrutinio segreto, il "Parlament della Generalitat de Catalunya" si è espresso con 70 sì per l'indipendenza, contro i 10 no (due le schede bianche), decidendo così per la costituzione di una Repubblica catalana sovrana e indipendente.


Una consultazione tumultuosa, definita "illegale" dalle opposizioni che non hanno partecipato al voto in segno di protesta. Tuttavia, all'esultanza in aula degli indipendentisti, è seguito un boato di compatto entusiasmo da parte della folla in attesa in piazza dalle prime ore del mattino.


Un fervore che ha contagiato diverse città della Catalogna: dopo la proclamazione della "Republica", in migliaia hanno riempito le strade e le piazze, come all'esito del referendum di inizio ottobre, mentre diversi municipi hanno reagito ammainando le bandiere spagnole, sparite dalla facciata di diversi edifici. Solo a Barcellona si sono contate 17mila persone radunate per i festeggiamenti dell'indipendenza in piazza Sant Jaume.

Indipendenza Catalogna: le conseguenze

Non si è lasciata attendere la reazione di Madrid dopo la dichiarazione unilaterale di indipendenza catalana: il premier spagnolo Mariano Rajoy, infatti, ha immediatamente attivato l'art. 155 della Costituzione, commissariando la regione, destituendo il presidente Puigdemont, nonché tutti i membri del Govern e del Parlament, con l'indizione di nuove elezioni per il prossimo 21 dicembre.


Decisioni a cui è seguita, tra l'altro, anche la delega

alla vicepremier Soraya Saenz de Santamaria delle funzioni di presidente del Governo catalano, formalizzata in un decreto pubblicato nella Gazzetta ufficiale (Boe) spagnola e la sostituzione dei ministri regionale da parte dei ministri equivalenti spagnoli.


Il Governo centrale ha provveduto anche alla rimozione del direttore della delegazione a Bruxelles e quello a Madrid, nonché alla chiusura di tutte le (sette) rappresentanze della Catalogna all'esterno.


Si tratta di provvedimenti che, ha spiegato il premier, non sospendono l'autonomia in Catalogna, ma sono necessari per "tornare alla legalità". Si attende, inoltre, per il possibile arresto del presidente Puigdemont per ordine della giustizia spagnola, mentre la Procura Generale dello Stato si dice pronta a denunciare per ribellione e sedizione il Presidente, i membri del Govern e la dirigenza del Parlament.


A norma degli artt. 472 e s.s. del Codice penale spagnolo, rischiano dai 15 ai 25 anni di reclusione i capi principali della ribellione, nonchè chi, incoraggiando i ribelli, promuova o sostenga la ribellione. I "subalterni" rischiano, invece, dai 5 ai 10 anni di detenzione e i partecipanti condamme tra i 5 e i 10 anni. Infine, la pena più elevata (30 anni di carcere), è destinata ai capi di insurrezioni armate che provochino devastazioni e violenza.


Le conseguenze di un evento del genere, unico nella storia del Paese, restano circondate da un confine di incertezza: non è chiaro, infatti, come la Catalogna deciderà di procedere dopo le misure attuate dal Governo spagnolo per bloccare il procedimento d'indipendenza e cosa accadrà ai membri del Govern catalano laddove questi si rifiuteranno di eseguire gli ordini.


Ciò che, invece, si palesa nella sua drammatica evidenza, è il fallimento della politica, la frattura insanabile tra Madrid e Barcellona e lo spettro irraggiungibile di un dialogo che potrebbe mai più materializzarsi arrecando enormi danni sia alla Spagna che alla Catalogna.

Italia: il "caso" di Veneto e Lombardia

Lo scorso 22 ottobre anche Veneto e Lombardia hanno votato in rispettivi referendum "consultivi" al fine di chiedere maggiori poteri, ed entrambe le votazioni si sono concluse con la vittoria del "Sì": in Veneto, superato il quorum (al voto il 57,2%) si è registrato un "Sì" plebiscitario al 98,1%, mentre minore è stata l'affluenza alle urne in Lombardia (38,5%), dove non era previsto quorum, e il "Sì" ha raggiunto il 95,29%.


Uno scenario che ha rammentato a molti quello della regione spagnola, con il rischio che venisse data linfa vitale a movimenti autonomisti e indipendentisti del nord Italia.


Tuttavia, i referendum regionali italiano sono perfettamente legali, inseriti nel quadro costituzionale (a differenza della situazione spagnola) e in accordo con lo Stato: Veneto e Lombardia hanno chiesto ai cittadini il parere su "ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia", ai sensi e per gli effetti dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione.


Si tratta di una procedura specifica, non per ottenere l'indipendenza, posto che la richiamata norma costituzionale stabilisce che ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti determinate materie, possano essere attribuite alle Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all'articolo 119.


La legge dovrà, tuttavia, essere approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata. Il referendum regionale, non essendo vincolante, non avrà dunque l'effetto di aggiungere automaticamente le due regioni a quelle a Statuto Speciale esistenti, bensì assumerà un valore squisitamente politico: la vittoria del sì e la partecipazione popolare potranno essere utilizzati dai presidenti leghisti per fare pressione sul Governo al tavolo delle trattative per la maggiore autonomia.


Inoltre, nonostante permanga il timore che i referendum regionali in Italia possano essere utilizzati come forma di propaganda da parte delle forze politiche più vicine all'indipendentismo, va rammentato che nel nostro paese tali forze sono minoritarie e frammentate (e spesso interiormente divise), a differenza della Catalogna, governata dagli indipendentisti, sorretti dalla maggioranza.


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