Divorzio imposto, unioni di fatto, rettificazione sesso

a cura dell'avv. Cristina Bassignana www.avvocatobassignana.it

Cassazione Civile, sezione I, sentenza 21.04.2015 n. 8097

Tizio, coniugato con Caia, propone domanda di rettificazione e attribuzione di sesso femminile al Tribunale. A seguito dell'accoglimento della domanda, la rettifica è annotata anche a margine dell'atto di matrimonio con la specificazione dell'intervenuta cessazione degli effetti civili del matrimonio.

I coniugi ricorrono al Tribunale ai sensi dell'articolo 95 del D.P.R. n. 396 del 2000 chiedendo la cancellazione dell'annotazione: la domanda è accolta in primo grado ma rigettata in appello.

Del ricorso è investita la Corte di Cassazione la quale rimette alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale degli articoli 2 e 4 della Legge n. 164/1982:

  • nella parte in cui dispongono che la sentenza di rettificazione e attribuzione di sesso provochi l'automatica cessazione degli effetti civili del matrimonio (o lo scioglimento) senza la necessità di una pronuncia giudiziale;

  • nella parte in cui dispongono la notificazione del ricorso per rettificazione di sesso anche all'altro coniuge senza riconoscergli il diritto di opporsi allo scioglimento del vincolo coniugale;

  • per disparità di regime sussistente tra il caso del divorzio imposto e le altre ipotesi indicate dall'articolo 3 della Legge n. 898/1970.

Con la pronuncia n. 170 del 2014 la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli articoli 2 e 4 della Legge n. 164 del 1982 nella parte in cui non prevedono che la sentenza di rettificazione dell'attribuzione di sesso, che comporta lo scioglimento del matrimonio, consenta, ove entrambi i coniugi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata che tuteli i diritti e gli obblighi della coppia.

La Corte Costituzionale ha evidenziato che anche dopo il cambiamento di sesso la relazione continui ad essere qualificata come formazione sociale che trova protezione nell'articolo 2 della Costituzione. Nella nozione di formazione sociale deve essere compresa anche l'unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, ottenendo il riconoscimento giuridico nei modi previsti dalla legge. L'esercizio della libertà di scelta di uno dei coniugi non può pertanto determinare l'eliminazione della dimensione giuridica del preesistente rapporto. La scelta legislativa non è quindi conforme al parametro costituzionale in quanto comporta l'ingiustificato passaggio da uno stato di massima protezione giuridica ad uno stato di massima indeterminatezza.

Ritiene infine la Corte Costituzionale che il meccanismo di caducazione automatica del vincolo matrimoniale, in presenza di un vuoto normativo, produrrebbe effetti costituzionalmente incompatibili con la protezione che l'unione conseguente alla rettificazione di sesso di uno dei componenti deve conservare ai sensi dell'articolo 2 della Costituzione.

Gli atti sono stati restituiti alla Corte di Cassazione per la decisione.

La Cassazione ha accolto il ricorso della coppia che potrà conservare i diritti e i doveri derivanti dal vincolo matrimoniale fino a quando il legislatore non interverrà a colmare la lacuna normativa disciplinando il rapporto di coppia con altra forma di convivenza registrata che ne tuteli diritti e doveri.

La Cassazione ha potuto compiere questo passo significativo sostenendo che quella della Consulta è una pronuncia additiva di principio. Il dispositivo, oltre alla dichiarazione di incostituzionalità, aggiunge il principio in base al quale il legislatore dovrà ispirare la futura azione legislativa e il giudice dovrà basare la propria decisione del caso concreto.

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