Il 2 luglio 2010 è stata divulgata la pronuncia n°25138, decisa alla pubblica udienza del 12 marzo 2010: mi giro e mi rigiro tra le mani le scarne cartellette (tre) della laconica e pressoché vuota motivazione opera della Corte di Cassazione - Sezione Sesta Penale. Primissima annotazione: composizione tutta al maschile nei suoi cinque membri - Presidente Saverio Mannino, Relatore Giovanni Conti, Giudici Francesco Serpico, Francesco Ippolito e Giacomo Paoloni -. Dopo due gradi di giudizio sfociati in altrettante condanne per "continue ingiurie, minacce e percosse in Livigno dall'ottobre 2001 all'ottobre 2003", gli Ermellini di Piazza Cavour paiono incappare nelle stesse censure che rivolgono ai predecessori ed annullano senza rinvio il precedente verdetto con cui erano stati irrogati, con le attenuanti generiche, otto mesi di reclusione per maltrattamenti in famiglia
. Pena peraltro già piuttosto mite. Posta nel nulla, dunque, la condanna inflitta ad un marito violento, originario della Val d'Ossola e residente in Provincia di Sondrio. Pare che il 45enne per tre anni abbia maltrattato la consorte gonfiandola di botte con una certa continuità, come sembrava emergere dalle stesse carte del processo e da una mezza confessione del medesimo imputato. Senonché, Roberta, la ex moglie, aveva una sufficiente forza d'animo per non soccombere, "per ammissione della stessa di CARATTERE FORTE, non ...intimorita dalla condotta del marito". Per i Giudici di Cassazione la donna era soltanto "scossa, esasperata e molto carica emotivamente". Ragionando per converso, quasi che tra i requisiti fondamentali per la configurazione del reato contestato sia annoverata la scarsa resistenza della vittima. Massì, per la Cassazione i giudici di prime cure (Tribunale Penale di Sondrio e Corte di Appello di Milano) avevano preso un granchio confondendo un banale clima di frizioni in famiglia ("stato di tensione" tra i coniugi ed uno "stato di sofferenza" della donna) scambiandolo erroneamente per maltrattamenti e violenze. Osservano gli Ermellini che la motivazione della Corte d'Appello ambrosiana "non poggia su elementi idonei a rappresentare un'abitualità della condotta vessatoria dell'imputato
". Non sono state sufficienti le testimonianze di conoscenti, medici, le certicazioni dei sanitari, la platea di elementi univoci; non sono stati neppure all'altezza nel meccanismo di convincimento della Cassazione gli indizi spalmati su ben tre anni filati, che, opinando in maniera difforme, avrebbero potuto e dovuto condurre diritti filati all'affermazione della penale responsabilità per la reiterata condotta di sopraffazione, offese, umiliazioni delle quali narrava la Corte di Appello di Milano nella sentenza
del 5 ottobre 2007. Per la Cassazione Penale, prendendo l'abbrivio da un "risibile" episodio menzionato dalla Corte d'Appello meneghina ("un finto auto-accoltellamento") ed utilizzato dal difensore nel corpo del ricorso, "i fatti incriminati sono SOLO GENERICAMENTE richiamati nelle (n.d.r.=plurale) sentenza impugnata (n.d.r.=singolare) impugnata". Segue il passo più criticabile della pronuncia: "i fatti incriminati ...appaiono risolversi in alcuni LIMITATI EPISODI di ingiurie, minacce e percosse nell'arco di tre anni, per i quali è intervenuta remissione della querela, che non rendono di per sé integrato il connotato di abitualità della condotta di sopraffazione richiesta per l'integrazione (n.d.r.=ripetizione: integrato-integrazione) della fattispecie in esame". Segue la delibazione sull'elemento psicologico del reato: "non risulta offerta dai giudici di merito alcuna indicazione che deponga per la sussistenza, in capo all'imputato, di una volontà sopraffattrice idonea ad abbracciare le diverse azioni e a ricollegare ad unità i vari (LIMITATI) episodi di AGGRESSIONE ALLA SFERA MORALE E FISICA del soggetto passivo". Insomma, a corti discorsi il fatto NON SUSSISTE. A tacer dei Comitati per le Pari Opportunità, in questi ultimi mesi non ci siamo quasi occupati d'altro che di stalking, violenze e minacce su donne e minori e la stessa cronaca nera snocciola ogni giorno crimini d'ogni tipo con disarmante noncuranza, quasi non si trattasse di persone in carne, ossa ed emozioni, ma casistica da archiviare rapidamente. Tengo a ricordare tra tutte, come un SIMBOLO, la dolcissima FRANCESCA B., colei che, circondata dall'affetto di chi le vuole bene, inclusa la sua adorata gattina Mimì, si vuole riprendere a tutti i costi la sua esistenza sconvolta giusto quattro anni fa, il 4 luglio 2006; Francy non vuole più essere considerata solo e soltanto la moglie ficcata, in fin di vita, fracassata di botte ed asfissiata, in un cassonetto nell'estrema periferia di Macerata, casualmente scoperta da un passante generoso dall'udito talmente acuto da percepire il flebile lamento della moribonda (in proposito, rimando alla news pubblicata l'11 marzo 2010: la gravità assoluta del paradigmatico caso ha già attratto l'interesse dei media che hanno dato ampio risalto alla triste vicenda; tant'è che sia "Amori Criminali", condotto da Camila Raznovich, sia "Storie Maledette" curato da Franca Leosini, ambedue su Rai3, hanno ampiamente enucleato la vicenda in tv. Sarà la Suprema Corte a sancire l'epilogo dell'atroce ed emblematica vicenda). Il 2 giugno 2010 Luisa Foti ha trattato sul Portale il caso di un marito ...saltuariamente violento, ma quanto meno condannato - sentenza n°20494/2010 della Cassazione - per lesioni. In tale occasione, però, la medesima Sesta Sezione Penale, in composizione totalmente diversa, aveva rinviato ad altra Sezione della Corte d'Appello di Napoli. Il percorso argomentativo della sentenza n°20494/2010 si può così compendiare: "più atti, anche non necessariamente delittuosi, realizzati in momenti successivi, purchè collegati da un nesso di abitualità e avvinti da un'unica intenzione criminosa, diretta a ledere l'integrità fisica o morale della vittima, trascinandola in un sistema di vita caratterizzato da vessazioni e sopraffazioni. Dalla sentenza impugnata non emerge tutto ciò, ma le azioni, indubbiamente violente, poste in essere dall'imputato finiscono per costituire SINGOLI EPISODI, inseriti in un contesto familiare di forte tensione tra i coniugi, determinato dal carattere violento e aggressivo del D.L., senza che risulti l'elemento dell'abitualità, ossia dell'instaurazione di un regime di vita improntato alla sopraffazione e alla vessazione. In sostanza" - prosegue la motivazione della pronuncia segnalata da Luisa Foti - "la sentenza si limita ad asserire l'abitualità, ma senza offrirne la dimostrazione, dovendo escludersi che il "carattere irascibile e instabile" dell'imputato, "possa costituire un valido elemento di prova circa l'abitualità dei comportamenti violenti cui si fa genericamente riferimento". Conclude in quel caso la Sesta Sezione: "Pertanto, la sentenza deve essere annullata su questo capo, con rinvio per un nuovo giudizio alla Corte d'appello, che dovrà uniformarsi a quanto rilevato circa gli elementi costitutivi del reato di maltrattamenti in famiglia." A Roberta della Provincia di Sondrio, invece, è andata molto peggio: per i Giudici della Sesta Sezione Penale del Palazzaccio il ricorso dell'ex marito è condivisibile stante l'insussistenza del requisito dell'abitualità della condotta di sopraffazione; quindi, nessuna applicabilità dell'Art. 572 Codice Penale, niente maltrattamenti in famiglia: annullamento senza rinvio perché il fatto (in parte addirittura ammesso dall'imputato) non sussiste; per dovere di cronaca, il Sostituto Procuratore Generale Dott. Giuseppe Volpe aveva, invece, concluso per l'inammissibilità del ricorso.
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