Per la Suprema Corte integra il reato di cui all'art. 615-bis c.p. la condotta di chi carpisce immagini o notizie attinenti alla vita privata di soggetti che si trovano nella sua dimora stabilmente o in quanto ospiti senza esserne partecipe

Telecamere ad uso domestico: la vicenda

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Oggi giorno è sempre più frequente installare nella propria abitazione delle piccole telecamere ad uso domestico, facilmente acquistabili su internet ad un prezzo piuttosto accessibile. Attraverso un'applicazione dedicata scaricabile gratuitamente sul telefonino, è poi possibile monitorare e finanche registrare ciò che avviene nella propria abitazione.

Ma come ci si deve comportare con riferimento agli altri abitanti della casa"

Nella vicenda, finita all'attenzione della Suprema Corte di Cassazione, una coppia di coniugi con figli minori sta vivendo un momento difficile, caratterizzato da reciproche denunce anche per il reato di maltrattamenti in famiglia in danno dei minori. L'uomo decide di installare delle telecamere all'interno dell'abitazione, sia a propria tutela, e quindi per dimostrare la falsità delle accuse della moglie, sia per accertarsi che questa non avesse comportamenti inappropriati nei confronti dei loro figli.

La donna ha appreso dell'esistenza di un sistema di videosorveglianza in quanto i filmati sono stati allegati dal marito ad una denuncia. Ha così disposto una bonifica dell'abitazione a seguito della quale sono state rinvenute tre videocamere ed il relativo impianto di registrazione. Ha sporto denuncia ed il materiale è stato sequestrato.

Il provvedimento del tribunale

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Il Tribunale ha ritenuto concretizzatosi il reato di illecite interferenze nella vita privata, in quanto esso si configura anche nel caso in cui sia uno dei conviventi nell'abitazione ad aver installato un sistema di ripresa visivo e/o sonoro, se destinato a registrare in sua assenza gli atti della vita privata degli altri conviventi.

Dalla visione delle riprese e del relativo audio ha dedotto che la donna non fosse a conoscenza dell'esistenza di questo sistema di videoregistrazione (peraltro occulto).

Vano è stato il tentativo dell'uomo di sostenere che temesse per l'incolumità dei propri figli perché, in tal caso, ritiene il Tribunale, egli avrebbe dovuto rivolgersi all'Autorità. L'aver eseguito le registrazioni anche in propria assenza, e senza aver informato di ciò gli abitanti della casa, ha fatto scattare, nei suoi confronti, il reato di cui all'articolo 615-bis c.p.

La decisione della Cassazione

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La Corte di Cassazione (sentenza n. 4840 del 2 febbraio 2024 sotto allegata), presso la quale è ricorsa l'uomo, è stata quindi chiamata a valutare se potesse configurarsi il reato qualora il soggetto che si adoperi per registrare abbia libero accesso al domicilio (nel caso di specie in quanto convivente).

L'articolo 615 bis codice penale punisce chiunque, mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procuri indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nel domicilio privato. Se ne ricava, quindi, come la norma tuteli le immagini della vita privata altrui che si svolge all'interno del domicilio.

Secondo costante giurisprudenza, neppure al convivente è consentito registrare immagini di vita privata altrui quando egli non ne sia parte. Infatti, solo in tale ultima evenienza l'atto di vita privata appartiene anche a chi l'abbia registrato, esattamente come previsto per le registrazioni audio (del tutto lecite se si è parte della conversazione, ed illecite se relative ad un colloquio di cui non si è parte).

Se ne ricava, quindi, che integra il reato in questione la condotta di colui che - mediante l'ausilio di strumenti di captazione visiva o sonora - carpisca immagini o notizie attinenti alla vita privata di altri soggetti che si trovino nella sua dimora, stabilmente o in quanto ospiti, senza esserne egli partecipe.

Ne consegue, pertanto, che il reato non è configurabile solo se l'autore della condotta condivida con i medesimi soggetti, e con il loro consenso, l'atto della vita privata oggetto di captazione (cfr. Cass. n. 36109/2018).

L'assenza della richiesta di consenso, ed il suo necessario rilascio, è risultata pertanto determinante per la configurazione del reato. Prova ne è stata proprio la registrazione, dalla cui visione ed ascolto è emerso come la donna ignorasse di essere registrata.

Andrea Pedicone

Consulente investigativo ed in materia di protezione dei dati personali

Auditor/Lead Auditor Qualificato UNI CEI EN ISO/IEC 27001:2017

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Scarica pdf Cass. n. 4840/2024

Foto: 123rf.com
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