Il reato di tentata estorsione può coesistere con quello di tentata violenza sessuale? Il punto di vista della Corte di Cassazione

Tentata estorsione e tentata violenza sessuale

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Il reato di tentata estorsione può coesistere con quello di tentata violenza sessuale" A fare il punto sulla differenza di tentativo di estorsione ex art. 629 c.p. e tentativo di violenza sessuale ex art. 609 c.p. è la Cassazione (con la sentenza n. 17717/2022).

La collocazione dei reati di estorsione e di violenza sessuale

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E' necessario ricordare per meglio comprendere la sentenza in oggetto che il delitto di estorsione è disciplinato dall'art. 629 del codice penale e collocato tra i delitti contro il patrimonio; invece il reato di violenza sessuale ex art. 609 c.p., è disciplinato tra i delitti contro la persona.

La sentenza della Cassazione n. 17717/2022

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Il fatto sottoposto all'attenzione della Suprema Corte, riguardava un caso di tentata violenza sessuale che il ricorrente aveva posto in essere tramite minacce - con telefonate ed sms - con cui appunto aveva ricattato la parte lesa al fine di ottenere dalla stessa atti sessuali e una somma di denaro, prospettando alla vittima di rendicontare un loro precedente incontro al marito, se non avesse ceduto alla richiesta.

Quindi il ricorrente tentava di far subire alla vittima atti sessuali e al tempo stesso per ottenerli la ricattava con la minaccia che altrimenti avrebbe raccontato al marito di lei di un loro incontro. Racconto che però non sarebbe avvenuto se la stessa avesse ceduto all'agente una somma di denaro.

Pertanto la vittima avrebbe dovuto scegliere tra subire atti sessuali oppure consegnare la somma richiesta: tertium non datur.

Il ricorrente però non portava a compimento, ovvero non realizzava il suo fine di appagamento sessuale - intento che rimaneva abbozzato, che restava quindi incagliato all'interno dell'atrio del reato', ovvero nella forma del tentativo - perché la vittima non cedeva alle minacce ma invece lo querelava.

Il Giudice delle indagini preliminari - considerando i fatti suesposti - aveva ravvisato tra le condotte degli episodi posti in essere dall'agente il vincolo della continuazione, riscontrando la violazione dell'art. 609-bis, ma anche dell'articolo 629 c.p., seppur entrambe nella forma tentata.

Come già anticipato, la condotta si era arrestata all'interno della soglia del tentativo, non avendo la vittima ceduto né ai ricatti sessuali né a quelli patrimoniali.

Il reato continuato

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E' necessario ricordare anche l'istituto del reato continuato che si concretizza come descritto all'art 81, 2 co. c.p. quando "chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge".

Nel caso di specie, il reo infatti aveva tentato di ottenere atti sessuali dalla vittima, ma anche di estorcerle denaro, pur di ottenere il suo "fine sessuale".

A seguito di condanna - emessa tramite rito speciale, su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p. - ricorrendo al Palazzaccio, veniva così chiamata in causa dal reo la Suprema Corte per 'decifrare le fattispecie' contestategli.

Nello specifico, il ricorrente lamentava l'errata qualificazione giuridica dei capi di imputazione, ovvero contestava la violenza sessuale ex art. 609 - nella forma tentata - in quanto secondo la logica del ricorrente, visto che vi era stata la pretesa di ottenere una somma di denaro, l'accusa ex art. 609 c.p. doveva essere inquadrata come estorsione, e quindi integrata all'interno dell'art. 629 c.p., e cioè dell'estorsione.

Da queste considerazioni scaturiva - secondo la logica del reo - una violazione del principio del ne bis in idem.

Ritenendolo violato per la doppia valutazione avvenuta sullo stesso fatto.

Il ricorrente accorpava le sue condotte, finalizzate a ledere e la libertà personale e il patrimonio della vittima; le considerava senza scinderle, sovrapposte, e sulla base di questa visione richiedeva la prevalenza, tra le due, dell'estorsione ex art. 629 c.p.

Supportava, inoltre, un'altra inquadratura della vicenda, ovvero riteneva - tra l'altro - che non poteva configurarsi il tentativo di violenza sessuale visto che le condotte adottate (telefonate ed sms) non avevano il potenziale, l'idoneità per ledere la libertà di autodeterminazione della parte offesa.

Il delitto tentato

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A questo punto è doveroso richiamare anche l'art. 56 (delitto tentato) che al 1° comma recita "Chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l'azione non si compie o l'evento non si verifica".

Il delitto tentato pertanto è in antitesi, contrario al delitto compiuto, consumato.

Secondo la linea difensiva del ricorrente quindi le minacce accertate nel procedimento non potevano qualificarsi come 'atti idonei diretti in modo non equivoco'. Nonostante fosse chiara dalle telefonate e dagli sms la minaccia, l'intenzione del reo di soddisfare i propri istinti sessuali. Intenzione talmente chiara al punto da ampliare la minaccia e farla sfociare pure sulla sfera patrimoniale della vittima, oltre che sulla libertà di autodeterminazione della sfera sessuale di quest'ultima.

La Suprema Corte respinge il ricorso smontando fermamente punto per punto le argomentazioni a supporto dello stesso e, citando anche precedenti pronunce dei Capitolini, ricordando inoltre la linea di confine tra il tentativo e la consumazione del reato di violenza sessuale. La S.C. rammenta infatti la consolidata giurisprudenza che sul tema afferma senza alcuna esitazione che "è configurabile il tentativo di violenza sessuale quando pur in mancanza di un contatto fisico tra imputato e persona offesa, la condotta tenuta dal primo denoti il requisito soggettivo dell'intenzione di raggiungere l'appagamento dei propri istinti sessuali e quello oggettivo dell'idoneità a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale (sez. 3, Sent. n. 34128 del 23/05/2006, Viggiano, Rv.234778-01; Sez. 2, Sent. n. 41985 del 09/09/2021, S., Rv.282205-01)".

Non è necessario quindi che vi sia un contatto fisico, una vicinanza fisica tra le parti, per entrare nella soglia del tentativo di violenza sessuale ma è sufficiente che gli atti posti in essere siano idonei ad oltrepassare la barriera della sfera del tentativo e allo stesso tempo che siano diretti a materializzare senza equivoco, senza alcuna ambiguità, gli estremi del delitto di violenza sessuale.

Dal materiale probatorio esaminato inequivocabilmente emergeva l'intenzione del reo di piegare, di coartare la volontà della vittima, al fine appunto di soddisfare il proprio istinto sessuale.

Per quanto riguarda invece l'ipotetica violazione del principio del ne bis in idem contestata dal ricorrente, la Corte di Cassazione per respingere la doglianza, si 'appoggia' alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 200/2016 che precisa in merito che si può parlare di fatti identici in tutti i casi in cui vi sia la sovrapposizione della "triade condotta-nesso causale-evento naturalistico"; "solo la coincidenza di questi elementi consente di affermare che si procede per fatti identici".

Già sulla base della distinzione delle fattispecie sopra esaminate rispetto alla narrazione dei fatti incriminati è lampante senza alcun ragionamento ulteriore la diversità dell'identità degli articoli violati, che non coincidono difatti: né sotto l'aspetto della condotta né sotto quello dell'evento naturalistico.

E' intuibile pertanto la conclusione della Suprema Corte, che infatti vanifica - rigettando anche questo punto del ricorso - la richiesta di riqualificazione avanzata dal ricorrente, sottolineando e rimarcando la presenza, nel caso in disamina, dei due oggetti giuridici diversi intaccati, ovvero la libertà sessuale e il patrimonio.

Diversi oggetti giuridici violati - che seppur nella forma descritta ex art. 56 c.p. - fanno comunque venir meno l'idem factum. Ma possono essere invece inquadrati all'interno del reato continuato perché tutte le azioni attuate dal reo per la propria soddisfazione sessuale possono essere collocate dentro al perimetro del medesimo disegno criminoso.


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