La Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 577 comma 3 c.p. nella parte in cui vieta la prevalenza delle attenuanti ex artt. 62 n.2 e 62 bis c.p.

La Consulta sull'art. 577 comma 3 c.p.

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La Corte costituzionale si è espressa su una questione di legittimità costituzionale, sollevata sia dalla Corte d'assise di Cagliari (ordinanza del 6 novembre 2022) che dalla Corte d'assise d'appello di Torino (ordinanze del 4 e 10 maggio 2023), in merito all'art. 577 c. 3 c.p., nella misura in cui vieta il giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza della provocazione rispetto alla circostanza aggravante prevista per il delitto di omicidio volontario, in relazione al fatto commesso contro l'ascendente.


Una delle vicende di cui si è occupata la Corte d'assise d'appello di Torino, tra l'altro, è salita alla ribalta delle cronache nazionali. Trattasi, infatti, della posizione di Alex Pompa:un ragazzo di 18 anni, da sempre vittima assieme a madre e fratello dei maltrattamenti paterni, che, in occasione dell'ennesimo episodio di violenza ed intervenuto a difesa della genitrice, ha ucciso il padre con 34 coltellate.

Differentemente dai giudici di primo grado, che avevano assolto l'imputato, la Corte d'assise d'appello non ha riconosciuto la sussistenza dell'esimente della legittima difesa, nemmeno nella forma putativa. Ha rilevato, invece, come fossero concedibili tre tipi di circostanze attenuanti: quelle generiche - per la giovanissima età, il contesto in cui è maturata la vicenda, il comportamento processuale, l'incensuratezza -, quella del vizio parziale di mente, essendo il giovane affetto da "disturbo di adattamento post traumatico", proprio a causa delle sevizie del padre, e anche quella della provocazione.

La questione di legittimità costituzionale

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In estrema sintesi, i Giudici rimettenti hanno evidenziato come la disposizione di cui all'art.577 comma 3 c.p., introdotta nel 2019 con il c.d. codice rosso e che vieta il giudizio di bilanciamento tra le circostanze attenuanti (ad eccezione di quelle ex artt.62 n.1, 89 e 98 e 114 c.p.) e l'aggravante dell'aver commesso il fatto contro l'ascendente, impedirebbe di irrogare una "pena proporzionata e calibrata sull'effettiva personalità del reo e sul suo grado di responsabilità".

In altri termini, pur apprezzando l'intento del legislatore di offrire una risposta sanzionatoria più severa di fronte a "fenomeni criminali caratterizzati dal collegamento tra l'azione omicidiaria e un rapporto di prevaricazione forza fondata sul genere, normalmente rinvenibile nell'uccisione della donna da parte del compagno", non si può celare come la norma in parola precluda al giudicante "la possibilità di valutare, in concreto, se l'omicidio sia stato effettivamente conseguenza di rapporti di forza diseguali o comunque asimmetrici tra agente e vittima". Il rischio è che "i limiti al bilanciamento di circostanze si applicherebbero anche in situazioni diametralmente opposte a quelle considerate dal legislatore".

Un simile risultato contrasterebbe con gli artt. 3 e 27 Cost.

Le riflessioni della Consulta

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Con la sentenza n.197 , depositata in data 30-10-23, la Corte costituzionale ritiene meritevoli di pregio le questioni di legittimità sottoposte.

Il Giudice delle leggi premette che "da sempre il diritto penale distingue - nell'ambito degli omicidi punibili - tra fatti più e meno gravi", che la figura dell'omicidio abbraccia condotte profondamente differenti (basti pensare alla differenza tra un omicidio compiuto nel contesto mafioso e di quelle, appunto, dei casi in questione, dove la condotta omicida risponde ad anni di soprusi e sofferenza psicofisiche).

Da qui, l'esingenza che una simile diversità si rifletta anche sulla dosimetria della pena.

"Attraverso il flessibile strumento del bilanciamento tra le circostanze, il nostro ordinamento consente dunque al giudice di commisurare una pena maggiormente calibrata rispetto all'intensità del disvalore della singola condotta omicida, nel rispetto dei principi costituzionali appena menzionati, nonché di tener conto di ulteriori circostanze che - pur non incidendo sul minor grado di disvalore oggettivo o soggettivo del fatto di reato - esprimono tuttavia una minore necessità di applicare una pena nei confronti del suo autore, in considerazione ad esempio della sua condotta successiva al reato."

In tema di pena proporzionata, la Consulta si spinge anche in un confronto con le realtà di altri Paesi europei. Cita, ad esempio, la Germania, dove l'omicidio è punito con l'ergastolo, nei casi più gravi, ma anche con una pena da anni 1 ad anni 10 per quelli meno deplorevoli.

Viene riconosciuto il particolare valore delle circostanze attenuanti generiche, le quali "costituiscono il luogo privilegiato in cui possono trovare spazio, nella fase di determinazione giudiziale della pena, considerazioni di equità e di umana "compassione" nei confronti dell'autore del reato, in ragione delle circostanze individuali nelle quali si è trovato ad agire all'epoca del fatto, o versa al momento della condanna:dall'immaturità connessa alla giovane età dell'autore o alla sua età particolarmente avanzata, alla presenzadi disturbi della personalità che non attingano la soglia del vizio parziale di mente, a traumi subiti nella propria storia personale, a condizioni economiche o sociali particolarmente disagiate, ovvero a condotte successive come l'immediata e spontanea autodenuncia, la piena collaborazione processuale, le attività di studio o lavoro intraprese nell'attesa del processo".


Sulla base di queste riflessioni, la Corte afferma che il generico intento del legislatore, di dare una risposta sanzionatoria più severa per gli omicidi commessi in ambiti familiari o di rapporti affettivi, non supera il vaglio di costituzionalità.

Sebbene non possa essere impedita la possibilità di introdurre deroghe alle regole sul bilanciamento tra circostanze, essa non può comunque prevalicare sui diritti costituzionali. Sul punto, tra le varie argomentazioni spese, spicca la necessità di tenere sentitamente distinti l'obiettivo di arginare gli episodi di femminicidio e l'irrogazione di una pena proporzionata al fatto (come, appunto, quello dell'agente che uccide spinto dall'esasperazione e da una situazione non più tollerabile). Motivo per cui, l'art. 577 comma 3 c.p. viola sia il principio di uguaglianza che di proporzionalità.

Il dispositivo

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La Corte costituzionale, dunque, dichiara "l'illegittimità costituzionale dell'art. 577, terzo comma, del codice penale, nella parte in cui vieta al giudice di ritenere prevalenti le circostanze attenuanti di cui agli artt. 62, primo comma, numero 2) e 62 bis cod. pen."

Scarica pdf Corte Cost. n. 197/2023

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