Per la Cassazione, il contrasto politico non giustifica le offese su Facebook, la cui valenza denigratoria integra il reato di diffamazione

Diffamazione su Facebook

Il contrasto politico non giustifica le offese su Facebook. Così la Cassazione (con sentenza n. 18057/2023 sotto allegata) decidendo il ricorso di un uomo condannato in appello per il reato di cui all'art. 595, comma 3°, c.p. che impugnava la sentenza d'appello ritenendo che le frasi a lui attribuite non avevano alcuna valenza offensiva né contenuto violento, costituendo espressioni dialettali usuali tra persone in confidenza. Come tali dovevano ritenersi, a suo dire, lo stesso e la parte civile che, su Facebook avevano da tempo scontri verbali per ragioni politiche.

Per il Palazzaccio, tuttavia, il ricorso è manifestamente infondato. Frasi pubblicate sulla pagina Facebook del gruppo dall'imputato, il quale apostrofava la persona offesa, con parole come "ignorante ... cretino ... sciacqua lattughe", avevano certamente, come ritenuto dalla corte di merito, una valenza denigratoria, anche in considerazione della circostanza che l'uomo non perdeva mai occasione di intervenire per commentare qualsiasi esternazione anche non inerente ad argomenti strettamente politici, apparendo gli interventi del tutto pretestuosi ed evidentemente finalizzati ad insultare pubblicamente il soggetto che non conosceva neanche personalmente, tanto è vero che la persona offesa lo aveva più volte diffidato dal persistere nelle condotte.

La motivazione della sentenza impugnata, per piazza Cavour, appare dunque, "del tutto coerente con la giurisprudenza di legittimità, secondo cui il limite della continenza nel diritto di critica è superato in caso di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato (cfr. Cass. n. 320/2021).

Nel caso in esame, quindi, "il contesto di contrasto politico appare del tutto genericamente evocato, e, in molti casi, del tutto escluso dalla sentenza impugnata, apparendo le frasi e gli epiteti utilizzati non inquadrabili neanche in un contesto di contrapposizione politica, né di dileggio personale tra soggetti legati da vincoli di conoscenza, con conseguente piena integrazione della condotta di diffamazione".

Va, infatti, rilevato, conclude la S.C. dichiarando inammissibile il ricorso, che "benché determinati epiteti, quali quelli utilizzati dall'imputato, siano entrati nel linguaggio comune o rappresentino modalità verbali colloquiali, nondimeno la loro valenza offensiva non è stata vanificata dall'uso, ma semplicemente attenuata in riferimento, tuttavia, a contesti specifici - quali quelli di tipo colloquiale, personale, tra soggetti legati da vincoli di amicizia e simili -, dovendo ritenersi come la valenza denigratoria insita nel lemma lessicale si riespanda totalmente allorquando l'uso risulti del tutto gratuito", come verificatosi nel caso di specie.

Scarica pdf Cass. n. 18057/2023

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