Per la Cassazione, va revocato l'assegno di divorzio se sopraggiungono giustificati motivi come un secondo lavoro per la ex abbandonato per scelta individuale

Revocato l'assegno concordato se lei lascia il lavoro

Va revocato l'assegno di divorzio concordato tra le parti se lei lascia il lavoro. Questo quanto si ricava dall'ordinanza n. 9835/2023 della prima sezione civile della Cassazione.

Nella vicenda, la corte d'appello di Milano rigettava il reclamo avverso il decreto del tribunale che giudicando sulla revisione dell'assegno di divorzio dovuto dal marito all'ex moglie lo aveva confermato riducendolo da 300 a 200 euro.

L'uomo adiva la Cassazione denunciando violazione dell'art. 9, comma 1, l. 898/1970 per essersi la corte d'appello limitata a ridurre l'entità dell'assegno anziché revocarlo ravvisando nell'accordo raggiunto tra le parti all'epoca del divorzio un fatto impeditivo della revoca, senza tuttavia considerare che successivamente le condizioni economiche della ex moglie erano migliorate giacché la stessa aveva trovato una seconda attività lavorativa come collaboratrice domestica che aveva lasciato per dimissioni volontarie.

Per gli Ermellini, il motivo è fondato.

La corte territoriale è incorsa in un error juris, avendo lasciato intendere che sarebbe precluso il giudizio sulla spettanza dell'assegno divorzile salva la verifica del quantum, sostengono infatti i giudici. "Tuttavia oggetto del giudizio di revisione qual è quello introdotto dall'ex marito è proprio la verifica della sopravvenienza di giustificati motivi idonei a confermare o escludere la debenza dell'assegno a suo tempo previsto nell'an e nel quantum a carico dell'ex coniuge non assumendo rilievo il fatto che l'assegno fosse stato originariamente costituito sulla base di un accordo tra le parti".

"La facoltà di chiedere la revisione dell'assegno in quanto accordata direttamente dalla legge (artt. 9 l. 898/1970 e 710 c.p.c.) non trova ostacolo negli originari accordi tra le parti o in clausole ivi inserite che non possono essere interpretate come rinuncia definitiva alla revisione dell'assegno in conseguenza dell'eventuale successivo sopraggiungere di giustificati motivi" aggiungono ancora dalla S.C.

La corte di merito ha quindi "erroneamente autolimitato il proprio potere giurisdizionale alla verifica dell'esistenza di fatti sopravvenuti giustificativi della sola modifica del quantum dell'assegno, ritenendone congrua la mera riduzione alla luce della comprovata riduzione reddituale della parte onerata e della ritenuta sussistenza della capacità lavorativa della donna, dimostrata dall'incremento reddituale comprovato con lo svolgimento di una seconda attività lavorativa abbandonata per una scelta individuale".

Per cui il decreto impugnato è cassato, in accoglimento del ricorso, con rinvio alla corte territoriale per un nuovo esame.


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