Diritto alle relazioni familiari, violenza di genere e tutela civile: problemi di coordinamento tra le autorità, vittimizzazione secondaria e novità della riforma Cartabia

Violenza di genere: coordinamento tra le autorità

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E' noto a tutti e specie, a chi si occupa di questa materia, che le questioni processuali legate ai fatti di violenza domestica o di genere sono ormai costantemente purtroppo oggetto di attenzione da parte del nostro legislatore.

Nell'ottica e al fine ultimo di dare compiuta attuazione alla Convenzione di Istanbul, che rappresenta un documento, se non il più importante, giuridicamente vincolante per gli stati firmatari, una questione intanto preliminare e cruciale, è quella riguardante il coordinamento tra le diverse autorità giudiziarie che del problema possono essere investite, ovvero il coordinamento tra il giudice investito per gli stessi fatti (ma con peculiarità certamente tipiche di quel giudizio) nell'ambito del procedimento penale ed il giudice del procedimento civile.

Il problema del coordinamento tra autorità giudiziarie e provvedimenti, sul versante penale, è stato affrontato già dalla l. n. 69 del 2019 nota come "Codice rosso" che, per quanto specificamente e direttamente ci interessa, ha inserito nelle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale l'art. 64-bis, il quale prevede che nel caso siano pendenti procedimenti di separazione dei coniugi o siano in corso cause relative all'affidamento dei minori o alla responsabilità genitoriale, il giudice penale deve trasmettere obbligatoriamente senza ritardo al giudice civile copia dei provvedimenti adottati nell'ambito del procedimento penale aperto per il delitto di violenza domestica o di genere. Senza quindi indugio o dilazione il giudice penale, deve trasmettere anche le ordinanze relative a misure cautelari personali, avviso di conclusione delle indagini preliminari, provvedimento di archiviazione e sentenze di condanna.

Gli atti del procedimento penale, acquisiti dal giudice del procedimento civile, possono cosi ampliare in modo significativo il contesto probatorio civile e quindi influire sulle decisioni in materia familiare, in particolar modo su quelle cautelari ed urgenti e che riguardano l'affidamento, la sistemazione abitativa del minore (inclusa l'assegnazione della casa) e l'esercizio delle responsabilità genitoriali.

Una volta quindi acquisiti, con le cautele indicate, gli atti del separato procedimento il giudice civile potrà apprezzarne autonomamente il valore probatorio per emettere il provvedimento del caso, supportando le decisioni con congrua motivazione.

È ben noto, infatti, che il giudice civile deve accertare i fatti allegati con pienezza di cognizione, sottoponendoli al proprio vaglio critico, senza però essere vincolato dalle soluzioni e qualificazioni adottate dal giudice penale.

Vittimizzazione secondaria

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Un altro problema è poi il fenomeno cd. della "vittimizzazione secondaria" di chi subisca violenza.

L'espressione "vittimizzazione secondaria" è già stata utilizzata nella Convenzione di Istanbul all'articolo 18 e consiste nel far rivivere le condizioni di sofferenza a cui è stata sottoposta la vittima di un reato, ed è spesso riconducibile alle procedure delle istituzioni susseguenti ad una denuncia, o comunque all'apertura di un procedimento giurisdizionale).

Fatte queste preliminari premesse doverose in quanto queste problematiche, ossia quelle del raccordo tra autorità giudiziarie e vittimizzazione secondaria, sono affrontate nella riforma Cartabia. Proprio con riferimento a questa riforma, l'articolo 473-bis.40 c.p.c., rubricato "Ambito di applicazione", introduce nel Capo III, che disciplina le Disposizioni particolari, una Sezione interamente dedicata alle violenze domestiche o di genere.

Le novità della riforma Cartabia

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Pertanto, gli artt. 473-bis.40 e ss. disciplinano il procedimento in cui siano allegati abusi familiari o condotte di violenza domestica o di genere poste in essere da una parte nei confronti dell'altra o di figli minori, prevedendo le necessarie modalità di coordinamento con altre autorità giudiziarie, anche inquirenti oltre all'abbreviazione dei termini processuali (art. 473.bis.42, comma 1, c.p.c. ove si prevede la facoltà per giudice di abbreviare i termini fino alla metà, fermo restando la necessità di compiere tutte le attività senza ritardo), nonché specifiche disposizioni processuali e sostanziali per evitare proprio la vittimizzazione secondaria

Sicché, l'ampia nozione richiamata dall'art. 473-bis.40 c.p.c. permetterà di consentire una più diffusa applicazione delle disposizioni in esame, in presenza di tutte le forma di violenza, fisica, economica, psicologica, in aderenza a quanto previsto dalla Convenzione di Istanbul.

Inoltre, permetterà al giudice di attivare la "corsia preferenziale" riconosciuta per i procedimenti con allegazioni di violenza o di abuso, anche a prescindere dalla necessità di ricondurre le condotte allegate a specifiche ipotesi di reato, poiché il diverso ambito di accertamento proprio dei giudizi civili e minorili, rispetto a quelli penali, potrà far ritenere sussistenti ipotesi di violenza o di abuso rilevanti per la disciplina dell'affidamento dei minori o per l'accertamento dell'addebito della separazione, anche in presenza di cause di estinzione del reato (per esempio in presenza di prescrizioni) o in mancanza di condizioni di procedibilità (per esempio qualora si tratti di fatti perseguibili a querela di parte e i termini per la presentazione della querela siano spirati). Tanto anche per la valutazione delle domande di affidamento dei minori, che presuppongono la valutazione della capacità genitoriale, in quanto un genitore violento con l'altro, non può essere considerato sicuramente un buon genitore, avendo esposto i figli alla violenza assistita, e avendo veicolato un modello educativo distorto e che l'ordinamento ha il dovere di censurare.

Fondamentale è il ruolo del pubblico ministero, che è parte nei procedimenti aventi ad oggetto la disciplina della responsabilità genitoriale in presenza di condotte pregiudizievoli dei genitori, ed è interveniente necessario nei giudizi di separazione, divorzio, affidamento dei figli nati fuori del matrimonio e nei procedimenti di modifica e che in ragione del ruolo può veicolare all'interno dei giudizi civili e minorili le risultanze degli accertamenti compiute in ambito penale.

Le norme in questione prevedono, pertanto, che sia la stessa parte, sia quando ricorrente, sia quando convenuta, ad indicare negli atti introduttivi l'eventuale pendenza di procedimenti relativi alle condotte violente o di abuso, con onere di allegare oltre ai documenti che riterrà rilevanti tutte le risultanze degli altri procedimenti qualora pendenti (per esempio i verbali delle sommarie informazioni), ma è parimenti previsto che sia il giudice d'ufficio ad acquisire tali documenti, ovvero ad assumere, anche d'ufficio, ogni mezzo di prova (con piena garanzia del contraddittorio) per accertare la fondatezza o meno delle allegazioni. Le disposizioni in esame,onerano le parti e dispongono che il pubblico ministero e il giudice comunichino con le altre autorità procedenti e partecipino attivamente alla verifica della fondatezza delle allegazioni di violenza o di abuso, hanno il fine di garantire che l'adozione dei provvedimenti, già nella fase preliminare del giudizio, non avvenga se non prima di aver compiuto il necessario accertamento per verificare la fondatezza o meno delle allegazioni, poiché qualora emerga, anche a livello di fumus, che condotte violente sono state poste in essere, il giudice dovrà adottare provvedimenti idonei a tutelare la vittima.

L'articolo 473-bis.42 c.p.c. che disciplina il procedimento in presenza di allegazioni di violenza o di abuso, prevede, al comma 1, la possibilità per il giudice di disporre l'abbreviazione di tutti i termini fino alla metà e di disporre mezzi di prova anche al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile , al fine di garantire una rapida trattazione del giudizio ed una immediata risposta di giustizia. Il secondo comma prevede disposizioni volte a prevenire la vittimizzazione secondaria, prevedendo che debbano sempre essere tutelate la sfera personale, la dignità, la personalità e la sicurezza della vittima. Quanto alla necessità di evitare contatti diretti, il giudice potrà ricorrere all'udienza da remoto, ovvero a scansioni orarie della comparizione delle parti che, ferma la presenza dei difensori per assicurare la pienezza del contraddittorio, potranno evitare contatti diretti tra presunta vittima e presunto autore della condotta. Al medesimo scopo, il quarto comma prevede la possibilità di disporre, a tutela della vittima la secretazione dell'indirizzo di residenza, quando la stessa e' collocata in struttura protetta e in presenza di esigenze di sicurezza. Il comma terzo, aderendo ad una specifica indicazione della legge delega e sulla scorta delle previsioni della Convenzione di Istanbul, prevede che il decreto di fissazione dell'udienza non debba contenere l'invito alle parti a rivolgersi ad un mediatore familiare, quando nei confronti di una delle parti è stata pronunciata sentenza di condanna o di applicazione della pena, anche non definitiva, o provvedimento cautelare civile o penale ovvero penda procedimento penale in una fase successiva ai termini di cui all'art. 415-bis c.p.p. per abusi o violenze.

C'è da dire tuttavia, che qualora il giudice, nel corso del procedimento, ravvisi l'insussistenza dei fatti di violenza, anche all'esito degli accertamenti preliminari cui è tenuto già dalle prime fasi del procedimento, potrà invitare alla mediazione o tentare la conciliazione. La scelta sottesa a questo netto divieto nasce dalla necessità di scongiurare ovviamente il rischio di vittimizzazione secondaria che si realizza quando una parte vittima di violenza o di abuso sia indotta, per invito del giudice o per sollecitazione normativa, a sedersi al tavolo di mediazione o di conciliazione con l'autore della violenza, con il rischio che la dinamica di sopraffazione violenta si riproduca anche in questo contesto.

Il quinto comma poi, al fine di garantire il massimo coordinamento tra le autorità che nei diversi ambiti di competenza possono essere chiamate ad accertare i medesimi fatti di violenza o di abuso, prevede che sia il giudice a richiedere, anche d'ufficio e senza ritardo, al pubblico ministero ovvero alle altre autorità competenti (giudice penale, giudice minorile, autorità amministrativa), informazioni in merito ai diversi procedimenti pendenti, con trasmissione degli atti (ove ostensibili, perché non coperti da segreto istruttorio) entro il termine di quindici giorni.

È espressamente previsto che il pubblico ministero presenti memorie e produca atti, la disposizione - al contrario di quella generale che disciplina i poteri del pubblico ministero, prevedendo la facoltà di produrre memorie e documenti (cfr. articolo 72 c.p.c.) - dispone che il pubblico ministero rivesta necessariamente un ruolo attivo in questi giudizi, onerandolo di partecipare non con un contributo meramente formale ma assumendo un ruolo effettivo, che può pienamente assicurare in ragione del bagaglio conoscitivo al quale tale organo accede e del ruolo che lo stesso riveste nel procedimento penale e in quello civile e minorile. E,fino alla costituzione del nuovo tribunale per le persone, per le famiglie e per i minorenni sarà necessario un ampio coordinamento tra il pubblico ministero operante presso la Procura della Repubblica dinanzi al tribunale ordinario e il pubblico ministero minorile, per permettere che le informazioni nella disponibilità delle diverse autorità inquirenti possano essere trasfuse nei giudizi civili o minorili.

L'art. 473-bis.44 c.p.c. disciplina l'attività istruttoria in presenza di allegazioni di violenza domestica o di abuso. Ratio delle disposizioni che stiamo esaminando, è anticipare l'accertamento sulla fondatezza o meno delle allegazioni di violenza alle fasi preliminari del giudizio, al fine di garantire che l'adozione dei provvedimenti, anche provvisori, avvenga sulla base di riscontri, seppure sommari. La norma al primo comma prevede che il giudice proceda, senza ritardo, e anche d'ufficio all'interrogatorio libero delle parti sui fatti allegati, avvalendosi se necessario di esperti per tutelare la presunta vittima e adottando le idonee modalità di tenuta dell'udienza a garanzia della vittima, ovvero su richiesta della stessa.

Non c'è dubbio che il libero interrogatorio delle parti può essere di grande ausilio per il giudice perché permette di mettere a confronto le diverse narrazioni in relazione ai medesimi fatti, confronto che può fornite elementi a sostegno o a contrasto delle contrapposte ricostruzioni degli eventi; inoltre permette di acquisire ulteriori elementi per procedere alla istruttoria (per esempio per accertare al di là di quanto indicato negli scritti introduttivi se qualcuno tra parenti, amici o vicini di casa, sia in grado di riferire in merito alle condotte di violenza o abuso, persona che potrà poi essere escussa direttamente dal giudice con attivazione dei poteri d'ufficio allo stesso riconosciuti).

Il giudice, per accertare le condotte violente o di abuso, e quindi per verificare la fondatezza o meno delle allegazioni di parte, dovrà disporre senza ritardo e pure d'ufficio, "anche di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile" mezzi di prova. Al fine di garantire il rispetto del giusto processo, il giudice dovrà comunque avere cura di garantire il contraddittorio e il diritto alla prova contraria. A titolo esemplificativo è previsto che possano essere escussi soggetti che potrebbero aver assistito a fatti di violenza o abuso, ovvero acquisiti documenti presso uffici pubblici (si pensi ai Pronto soccorso) o uffici delle Forze dell'Ordine (si pensi ai verbali di accesso degli operatori chiamati per interventi sui luoghi), sempre previo rispetto dell'eventuale segreto istruttorio quando siano in corso indagini penali.

Quanto all'attività istruttoria, si è in presenza pertanto di un procedimento deformalizzato dal momento che il giudice "al fine di accertare le condotte allegate, può disporre mezzi di prova anche al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice in punto', ed e' altresi' prevista la possibilità che il giudice ritenga necessario avvalersi dell'ausilio di un consulente.

L'ascolto del minore invece e' contemplato nell'art 473bis 45 c.p.c. e prevede espressamente che in presenza di procedimenti con allegazioni di violenza o di abuso il giudice debba procedere all'adempimento personalmente e senza ritardo, assicurando il coordinamento con l'autorità penale (per esempio acquisendo i verbali e le videoregistrazioni dell'ascolto avvenuto in ambito penale nel corso dell'incidente probatorio), ed avendo cura di evitare ogni contatto diretto tra il minore e il presunto autore della violenza e dell'abuso. Ratio della disposizione è assicurare che in presenza di questi procedimenti sia il giudice ad avere percezione diretta di quanto riferisce il minore, per cogliere personalmente tutti gli elementi che il linguaggio anche non verbale, particolarmente significativo per i minori, può fornire.

Sono espressamente richiamate le norme generali in materia di ascolto del minore, in particolare la disposizione che ne prevede la videoregistrazione, ed è previsto al fine di scongiurare il rischio che la reiterazione degli ascolti nei diversi procedimenti che possono vedere coinvolto il minore possa tradursi in una forma di vittimizzazione secondaria, che non si proceda all'ascolto diretto quando il minore sia stato già ascoltato.

L'art. 473-bis.46 c.p.c. poi chiarisce espressamente che tali provvedimenti potranno essere adottati solo dopo che il giudice abbia realizzato l'istruttoria anche sommaria e che ogni provvedimento dovrà assicurare piena tutela alle vittime anche con l'intervento dei servizi socio assistenzialie sanitari, e con adeguata disciplina del diritto di visita tale da non compromettere la sicurezza delle vittime stesse (per esempio prevedendo visite protette, ovvero nei casi meno gravi, evitando contatti diretti tra vittima e autore della violenza ,prevedendo che i minori vengano prelevati e ricondotti nell'abitazione della vittima della violenza non dal presunto autore della stessa ma da altri soggetti -parenti, operatori dei servizi- ovvero prevedendo che il prelievo dei minori e il loro accompagnamento avvenga presso l'istituto scolastico). È fatto espresso riferimento alla possibilità di adottare le misure previse dall'art. 473.bis.70 c.p.c. che disciplina gli ordini di protezione. È inoltre espressamente previsto che nel caso di collocazione della vittima di violenza presso struttura protetta il giudice, quando opportuno, conferisca incarico ai servizi sociali e/o sanitari anche al fine di adottare adeguati progetti per il reinserimento sociale e lavorativo della vittima.

Proprio relativamente agli ordini di protezione, l'articolo 473-bis.69 c.p.c. costituisce la riproduzione dell'articolo 342 bis c.c.,con la differenza rispetto a prima che la norma ammette l'adozione dei provvedimenti anche quando la convivenza tra autore dell'illecito e vittima è cessata, mentre l'articolo 473-bis.70 c.p.c. riproduce, con lievi variazioni letterali, l'articolo 342 ter c.c.

In coerenza poi con l'articolo 48 della Convenzione di Istanbul, è stata eliminata la possibilità per il giudice di disporre l'intervento di un centro di mediazione familiare, secondo la previsione originaria dell'art. 342 ter c.c., essendo in tali ipotesi escluso ogni tentativo di accordo o mediazione che implichi la comparizione personale delle parti.

All'articolo 473-bis.71 c.p.c. viene trasferita, con alcune lievi modifiche, la disciplina del procedimento degli ordini di protezione contro gli abusi familiari, già contenuta nell'articolo 736 bis c.p.c.

L'istanza si propone, anche dalla parte personalmente, con ricorso al tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell'istante, e che si provvede in camera di consiglio in composizione monocratica.

Viene quindi adottato un rito monocratico deformalizzato, che presenta analogie con il procedimento cautelare, con eventuale istruttoria e indagini sui redditi nelle forme più opportune, e in caso di urgenza con provvedimento senza immediato contraddittorio, essendo adottata una regolamentazione autonoma: "Il presidente del tribunale designa il giudice a cui è affidata la trattazione del ricorso. Il giudice, sente le parti e procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione necessari, disponendo, ove occorra, anche per mezzo della polizia tributaria, indagini sui redditi, sul tenore di vita e sul patrimonio personale e comune delle parti, e provvede con decreto motivato immediatamente esecutivo. Nel caso di urgenza, il giudice, assunte ove occorra sommarie informazioni, può adottare immediatamente l'ordine di protezione e non superiore a quindici giorni ed assegna all'istante un termine non superiore a otto giorni per la notificazione del ricorso e del decreto. All'udienza il giudice conferma, modifica o revoca l'ordine di protezione".

Il ricorso può essere dunque proposto sia in pendenza del procedimento di merito, innanzi al giudice che lo conduce, oppure ante causam.

Questa infatti è la novità più significativa.

Il provvedimento è poi reclamabile, secondo le forme del reclamo camerale. Il reclamo non sospende l'esecutività dell'ordine di protezione. Il tribunale provvede in camera di consiglio, in composizione collegiale, sentite le parti, con decreto motivato non impugnabile. E del collegio non fa parte il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato.

Si prevede infine che per tutto quanto non previsto dalla norma si applicano gli articoli 737 e seguenti c.p.c. in quanto compatibili.

Anna Bellantoni

Presidente della Sezione Distrettuale AMI - Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani - Sezione di RC


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