Per la Cassazione, decide il giudice se i genitori separati non sono d'accordo sull'ora di religione per il figlio, atteso che ormai si tratta di un momento di incontro spirituale e multiculturale

Ora di religione: decide il giudice

Spetta al giudice decidere, quando i genitori separati sono in disaccordo, sul far frequentare al figlio l'ora di religione, ispirandosi al criterio cardine del superiore interesse del minore. Del resto, lo stesso concetto di ora di religione è cambiato e non è più riconducibile ad un credo specifico, ma ad un momento di incontro e confronto spirituale e multiculturale. E' quanto ha precisato la Cassazione nell'ordinanza n. 6802/2023 (sotto allegata) bacchettando i giudici di merito che hanno errato nel bocciare la richiesta del padre e accontentare la madre nel non far frequentare l'ora di religione alla bimba di 6 anni.

Nella vicenda, la Corte d'appello di Venezia, in parziale riforma del decreto del tribunale di Vicenza che affidava la decisione relativa all'iscrizione all'ora di religione, nella scuola elementare frequentata, della figlia minore, al padre, riteneva di lasciare la scelta alla madre.

In particolare, tenuto conto del contesto familiare e del percorso seguito già dalla figlia primogenita, riteneva tale decisione maggiormente rispondente al miglior interesse per la minore, poiché "il diritto alla libertà religiosa non assume concreta rilevanza in quanto sull'educazione religiosa i genitori hanno diverse opinioni e la figlia, in considerazione della giovane età (sei anni), non è ancora in grado di esprimere una propria posizione autonoma rispetto a quella del padre e della madre e il diritto del padre di educare la figlia secondo le proprie convinzioni non prevale sul diritto della madre a non impartire un'educazione religiosa sino a quando la figlia non potrà compiere una propria scelta".

Il giudice di merito, inoltre, facendo applicazione dell'art. 316 c.c., sosteneva che "non spetta a un giudice sostituirsi ai genitori nello stabilire se un'educazione religiosa possa garantire - come ritiene il padre secondo le sue convinzioni - una crescita sana ed equlibrata, scelta già compiuta dai genitori e di cui uno negasse ingiustificatamente l'esistenza, essendo le scelte in materia di religione insindacabili".

Dal Palazzaccio, non concordano con la tesi e sostengono che nelle ipotesi di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio, operi invece l'art. 337-ter, (Provvedimenti riguardo ai figli) (testo applicabile ai procedimenti pendenti al 30 giugno 2023), che dispone: «La responsabilità genitoriale e esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all'istruzione, all'educazione, alla salute e alla scelta della residenza

abituale del minore sono assunte di comune accordo, tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione e rimessa al giudice».

Il giudice quindi, prosegue la S.C., "come soggetto super partes, è chiamato espressamente, in via del tutto eccezionale, a ingerirsi nella vita privata della famiglia, adottando i provvedimenti relativi alla prole, in luogo dei genitori che non siano stati in grado di comporre i propri dissidi ideologici e le correlate convinzioni e di stabilire, di comune accordo, le linee educative.La decisione non resta arbitraria ma deve essere assunta secondo un criterio stabilito dalla legge, quello dell'esclusivo riferimento al superiore interesse, morale e materiale, del minore coinvolto, nel caso concreto in esame".

Un orientamento del resto già affermato più volte dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 21553/2021; Cass. n. 21916/2019), secondo cui in materia di scelte riguardo ai figli, criterio guida, informante delle decisioni sia necessariamente quello del preminente interesse del minore a una crescita sana ed equilibrata e, "dando corso e attuazione a detto principio - la Corte - ha stabilito che, in caso di conflitto genitoriale, il perseguimento dell'interesse del minore può comportare anche l'adozione di provvedimenti, relativi all'educazione religiosa, contenitivi o restrittivi dei diritti individuali di libertà religiosa dei genitori". In linea del resto, osserva ancora la Cassazione, con quanto affermato dalla Corte Europea dei diritti dell'Uomo (sentenza n. 54032/2022) che, intervenendo, su una nuova questione relativa alle scelte dei genitori circa l'educazione religiosa dei figli, con riguardo alla composizione di divergenze tra i due genitori, in relazione a un caso che aveva portato anche all'intervento dei giudici nazionali, ha precisato "che va assicurato l'interesse superiore del minore e che talune limitazioni su alcune modalità di coinvolgimento del minore in un credo scelto da un genitore non costituiscono una discriminazione se funzionali a garantire e a preservare la libertà di scelta del minore".

Per cui ha errato la Corte d'appello, innanzitutto, nell'impostazione della controversia, ritenendo operante l'art. 316-bis, norma che presuppone un contrasto in un nucleo familiare unito, piuttosto che l'art.337-ter c.c., ove si fa riferimento ad un contrasto insorto dopo l'avvenuta separazione fra i genitori. Non solo. Anche in punto di ascolto della minore, la Corte d'appello ha osservato che la stessa per la giovane età (sei anni all'epoca dei fatti) non era ancora in grado di esprimere una posizione autonoma e quindi non disponeva della necessaria capacita di discernimento. Ma tale capacità, rincarano dalla S.C., "non è una nozione fissa ed è tendenzialmente ricollegata all'acquisizione di competenze intellettuali e concettuali che aiutino il minore a riconoscere e valutare razionalmente i dati provenienti al di fuori della propria dimensione personale. La stessa è dunque considerata sussistente in tutte le ipotesi in cui il minore sia in grado di cogliere dati, informazioni e stimoli provenienti dall'esterno, riguardanti la propria sfera esistenziale ed elaborarli secondo il proprio personale sentire, formandosi un proprio convincimento riguardo ad essi, le sue esigenze e i suoi bisogni".

E ancora, "il limite individuato dalla legge di dodici anni è chiaramente soltanto tendenziale, come dato che rispecchia l'id quod plerumque accidit in base alle conoscenze acquisite dalle scienze pedagogiche e dell'evoluzione, ma che ben può essere oggetto di differente valutazione anche per minori di età inferiore".

L'audizione è, quindi, "necessaria in tutte le ipotesi in cui il confronto con il minore può offrire al giudice idonei elementi per meglio comprendere quali siano i provvedimenti più opportuni nel suo interesse". Da rilevare che anche la riforma, nel nuovo art. 473 bis.4 c.p.c., introdotto con il d.lgs. 149/2022 (operante per i procedimenti instaurati dopo il 28/2/2023), "ha apportato miglioramenti nella disciplina in senso di maggiore chiarezza, tipizzando i casi di esclusione motivata dell'audizione, nel secondo comma dell'art. 473-bis c.p.c.".

Detto questo, ha errato la Corte d'appello a non procedere ad un'osservazione della minore, "proprio al fine di meglio individuare «l'inclinazione naturale e le aspirazioni dei figli», cui si richiama l'art. 337 ter c.c., eventualmente attraverso anche l'intervento di consulente psicologico, al fine di meglio comprendere quali fossero le effettive esigenze della bambina".

Infine, la Corte territoriale, osservano gli Ermellini, "mostra di ignorare quello che è lo statuto pedagogico della c.d «ora di religione», sempre più orientato non già all'adesione ad un credo religioso specifico ma al confronto con il momento spirituale della religiosità" tanto che qualcuno, al riguardo, parla dell'«ora delle religioni».

Da qui, l'accoglimento del ricorso del padre e la cassazione del decreto impugnato con rinvio per nuovo giudizio.

Scarica pdf Cass. n. 6802/2023

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