Non spettano gli alimenti alla figlia che riceve aiuti da enti di beneficenza e dai suoceri e che al pari del marito non si attiva nella ricerca di un lavoro o rifiuta offerte adducendo come scusa la cura dei figli

Diritto agli alimenti

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Alla figlia non spettano gli alimenti da parte dei genitori adottivi se la situazione di difficoltà in cui si trova è imputabile alla sua condotta e a quella del marito. La coppia comunque non si trova in stato di bisogno perché aiutata da enti di beneficienza e dalla famiglia del marito. La mancata attivazione nella ricerca di un lavoro, il rifiuto di offerte e le giustificazioni addotte devono essere oggetto di maggiore approfondimento da parte dei giudici di merito, perché anche in presenza di una limitazione fisica è sempre possibile trovare un'occupazione adatta alle proprie condizioni. Queste le conclusioni della Cassazione n. 33789/2022 (sotto allegata).

Assegno alimentare per la figlia

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A una figlia il giudice dell'impugnazione riconosce un assegno di 200 euro mensile a titolo di alimenti, che devono essere corrisposti dal padre. La donna e il marito, per il giudice, si trovano in stato di bisogno tanto da non riuscire a pagare le utenze e a comprare il cibo.

Il nucleo familiare, di cui fanno parte due bambini, è aiutato da enti di beneficienza e il marito ha una situazione lavorativa precaria. Per la Corte queste condizioni di disagio non sono imputabili alla coppia e i rapporti incrinati della donna con la famiglia dei genitori adottivi non rilevano ai fini del riconoscimento del diritto agli alimenti alla stessa.

Conclusioni che non incontrano il favore dei genitori adottivi della donna, tanto che ricorrono in Cassazione contestando lo stato di bisogno, dato per provato, l'incolpevolezza della coppia per le condizioni precarie di vita in cui si trova e la mancata richiesta di una prova oggettiva della impossibilità dell'uomo a provvedere alle necessità della propria famiglia.

Stato di bisogno e impossibilità di procurarsi i mezzi per vivere

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Per la Cassazione i motivi sollevati meritano una trattazione unica perché connessi e gli stessi vanno accolti per diverse ragioni.

Prima di tutto non si comprende la ragione per la quale la Corte non abbia considerato che l'obbligo alimentare grava prima sul coniuge e solo a seguire sui genitori della moglie. Errata poi la qualificazione di impossibilità oggettiva lavorativa con cui la Corte ha qualificato la difficoltà dell'uomo di recarsi al lavoro per mancanza di mezzi di trasporto propri.

Ricordano gli Ermellini che il diritto agli alimenti richiede la prova dello stato di bisogno e della impossibilità di provvedere al proprio sostentamento con il lavoro a causa di invalidità o incapacità fisica. Impossibilità che quindi non deve essere imputabile al richiedente.

Nel caso di specie la sentenza non tiene conto della mancata attivazione da parte della coppia nella ricerca di un'occupazione del fatto che la famiglia della richiedente percepisce aiuti solidaristici da enti e dalla famiglia del marito, tanto che gli stessi in realtà non devono provvedere al pagamento del cibo e delle utenze.

I giudici sono incorsi in evidente errore nel valutare le condizioni della famiglia e di conseguenza la fondatezza della domanda dell'istante, stante l'assenza di una stabile e oggettiva condizione di impossibilitò nel provvedere ai propri bisogni primari.

La Corte doveva approfondire meglio anche la questione del lavoro. La precarietà è stata equiparata sbrigativamente alla impossibilità di lavorare e comunque, anche in presenza di problematiche fisiche, è sempre possibile cercare un'occupazione confacente alle proprie condizioni.

Leggi anche Il diritto agli alimenti

Scarica pdf Cassazione n. 33789/2022

Foto: 123rf.com
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