- Stalking minacciare per contestare la gestione della parrocchia
- Il parroco è persona offesa?
- Corretta la condanna, dall'imputazione emergono riferimenti al parroco
Stalking minacciare per contestare la gestione della parrocchia
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Configura reato di stalking danneggiare e indirizzare minacce in modo costante per contestare la gestione della parrocchia da parte del parroco. L'imputato merita quindi la condanna un anno e sei mesi di reclusione e al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita. Questo quanto deciso dalla Cassazione nella sentenza n. 37451/2021 (sotto allegata), dopo aver respinto i motivi fondati prevalentemente su presunti vizi procedurali.
La vicenda processuale
Un soggetto viene condannato in primo e secondo grado per il reato di atti persecutori di cui all'art. 612 bis c.p in relazione a fatti che vedono coinvolti una suora superiore e un parroco. Condotte per le quali al soggetto viene irrogata la pena di un anno e sei mesi di reclusione (anche se la pena viene sospesa) e la condanna a risarcire i danni subiti dalla parte civile costituita.
Non è dato comprendere nel dettaglio le ragioni specifiche degli atti persecutori, ma a quanto pare l'imputato non era propriamente in accordo con le modalità con cui veniva gestita la parrocchia da parte del parroco, soprattutto in relazione alla distribuzione degli aiuti alle persone in difficoltà.
Disaccordo che lo stesso ha manifestato con atti di danneggiamento e minacce rivolte alla suora, che assisteva il parroco nella gestione degli affari della parrocchia e il parroco stesso. Azioni che sono poi sfociate in telefonate minacciose sotto falso nome di un avvocato rivolte alla suora per farle rimettere la querela, una volta che questa ha pensato bene di tutelarsi.
Il parroco è persona offesa?
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Fatto sta che l'imputato, contesta la condanna in Cassazione, sollevando diversi motivi con i quali contesta soprattutto questioni legate alla procedura.
- Con il primo infatti rileva la nullità del giudizio perché sottoposto a giudizio immediato senza prima essere sottoposto a interrogatorio in fase di indagini.
- Con il secondo contesta il difetto di correlazione tra fatto contestato e sentenza, visto che ha subito la condanna anche in relazione ad atti che lo stesso avrebbe commesso ai danni del parroco, mai indicato come persona offesa.
- Con il terzo infine rileva la illogicità, la contraddittorietà e l'omissione della motivazione in relazione ai fatti costitutivi del reato che gli è stato contestato.
Corretta la condanna, dall'imputazione emergono riferimenti al parroco
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La Corte di Cassazione però rigetta il ricorso sulla base della seguente motivazione.
Il primo motivo del ricorso non è meritevole di accoglimento in quanto è emerso che prima della richiesta di giudizio immediato del PM non si è svolto alcun interrogatorio, ma in data anteriore, l'imputato era stato convocato per l'interrogatorio di garanzia dopo l'adozione della misura cautelare, interrogatorio che però non si era svolto perché l'imputato aveva addotto un ricovero ospedaliero del figlio. In questo frangente l'avvocato però non aveva invocato un legittimo impedimento e non aveva richiesto un rinvio dell'interrogatorio. "Si deve ritenere, pertanto, che sia per l'impossibilità di sindacare il fatto costituente asserito impedimento, sia per il comportamento processuale dell'imputato, il motivo non sia meritevole di accoglimento."
Infondato il secondo motivo perché non c'è stata alcuna violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza. I fatti contestati sono stati esplicitati fin dal capo di imputazione e l'imputato ha avuto la possibilità di difendersi, ma non lo ha fatto. Chiara infatti la condotta contestata e il presupposto del reato, ossia che imputato fosse "infastidito dalle modalità di gestione della parrocchia, attuate dal parroco; si afferma che il reato contestato è stato commesso al fine di isolarlo dalle religiose che con lui collaboravano (…) in una prima lettera anonima (...) vi era testualmente scritto spero che tu ti allontani presto da lui perché farai una brutta fine, perché già la fine che farà è un po' brutta."
Inammissibile infine il terzo motivo perché, pur mascherato dalla contestazione del vizio di motivazione, è finalizzato a ottenere una rivalutazione delle prove.
Scarica pdf Cassazione n. 37451/2021• Foto: 123rf.com