Per la Cassazione, l'indennizzo previsto dalla Direttiva UE 2004/80 per le vittime di reati violenti non si limita alle situazioni transfrontaliere, ma anche a quelle interne

Indennizzo non simbolico anche alle vittime residenti di reati violenti

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Ogni Stato membro dell'Unione deve avere un sistema d'indennizzo per le vittime di reati intenzionali violenti commessi anche nei loro territori, non soltanto per quelle di una situazione transfrontaliera. Per quanto riguarda poi la misura dell'indennizzo esso deve garantire alla vittima un ristoro appropriato per le sofferenze patite, non potendo lo stesso essere meramente simbolico o manifestamente insufficiente. Precisazioni molto importanti contenute nell'ordinanza della Corte di Cassazione n. 26303/2021 (sotto allegata).

La vicenda processuale

Una donna, vittima di aggressione e violenza sessuale, in sede penale ottiene la condanna del suo aggressore alla pena di 5 anni di reclusione e al pagamento di una provvisionale di 25.000 euro in suo favore. Alla donna quindi è riconosciuto il diritto di conseguire il risarcimento per i danni subiti, tuttavia, nonostante la notifica del precetto e i tentativi di pignoramento, non ottiene alcunché.

Per questa ragione decide di ricorrere in giudizio, per domandare alla Presidenza del Consiglio, i danni derivanti dall'inadempimento conseguente alla mancata attuazione della Direttiva n. 2004/80/CE, che impone agli Stati UE, a partire dal 1° luglio 2005, di assicurare un adeguato ristoro alle vittime di reati violenti e internazionali, che si trovano nell'impossibilità di ottenere dai propri offensori il risarcimento.

Il giudice di primo grado però respinge la richiesta, così la donna ricorre in Appello, che accoglie solo in parte le sue richieste. Per il giudice dell'impugnazione, lo Stato Italiano, anche se tardivamente, ha dato attuazione alla Direttiva suddetta. La Corte accoglie pertanto solo la domanda subordinata con cui viene richiesto il riconoscimento degli interessi, in ragione dello ius superveniens rappresentato dalla legge n. 167/2017. Rigettate invece le altre domande perché la Direttiva si applica alle sole fattispecie "transfrontaliere."

Tardiva attuazione della Direttiva 80 e indennizzo inadeguato

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Insoddisfatta delle conclusioni della Corte di Appello la donna ricorre in Cassazione per far valere due motivi di doglianza.

Con il primo lamenta la violazione della Direttiva invocata, ma anche dei principi di diritto comunitario e della libertà fondamentali che assicurano, nel rispetto dei principi di uguaglianza e di non discriminazione, la corretta applicazione dei principi di diritto comunitario. Per la ricorrente lo Stato italiano avrebbe dovuto recepire direttamente e immediatamente la Direttiva UE "con la previsione di un sistema indennitario generalizzato e necessariamente applicabile anche nei confronti dei residenti in Italia, qualora riconosciuti vittime di reati violenti e intenzionali nel territorio italiano." Per la donna giudici di merito hanno errato nel ritenere non applicabile la Direttiva ai casi puramente interni, in ogni caso, precisa, il giudizio dalla stessa instaurato aveva ad oggetto il diritto al risarcimento del danno derivante dalla mancata e tempestiva trasposizione del diritto europeo e non la pretesa di ottenere, in base al diritto interno, l'indennizzo stabilito dalla normativa di attuazione interna.

Con il secondo motivo contesta l'adeguatezza ed equità dell'indennizzo riconosciuto in suo favore di € 4.800,00, perché contrario a quanto sancito dagli articoli 1226 e 2056 c.c. stante la gravità del reato commesso e gli indennizzi concessi a vittime di altri reati. Da qui la richiesta di cassare la sentenza di appello o di disporre il rinvio alla Corte di Giustizia, considerata la rilevanza della questione interpretativa relativa all'adeguatezza dell'indennizzo previsto dal nostro legislatore in favore delle vittime di reati violenti.

Gli Stati UE devono indennizzare anche le vittime residenti di reati violenti

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La Cassazione adita accoglie il ricorso perché entrambi i motivi sono fondati, cassa quindi la sentenza e rinvia alla Corte di appello in diversa composizione, che nel decidere dovrà attenersi ai principi di diritto che gli Ermellini hanno enunciato nella motivazione della sentenza.

Per la Corte quindi il primo motivo è fondato. Vero infatti che la finalità della Direttiva non è di limitare gli indennizzi alle sole vittime di reati violenti transfrontalieri, con esclusione di quelli interni. La Corte di giustizia UE infatti ha interpretato l'art. 12 della Direttiva nel senso che "non solo obbliga gli Stati membri a dotarsi di un sistema di indennizzo delle vittime per ogni reato intenzionale violento commesso sul proprio territorio, ma che consente anche ai soggetti residenti nello Stato membro, così obbligato, di poter usufruire dell'indennizzo, essendo, quindi, anch'essi titolari del diritto conferito, nella specie, dal diritto derivato dell'Unione". Come chiarito sempre dalla Corte di Giustizia UE, sussiste anche una responsabilità ulteriore dello Stato per la tardiva trasposizione, ovvero per "grave e manifesta violazione" del diritto unionale.

Fondato altresì il secondo motivo di ricorso. La Corte di Giustizia ha chiarito infatti la sussistenza di un regime di responsabilità extracontrattuale di uno Stato membro, quando causa un danno per mancata trasposizione in tempo utile dell'articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 "nei confronti di vittime residenti in detto Stato membro nel cui territorio il reato intenzionale violento sia stato commesso."

Per quanto riguarda l'equità e l'adeguatezza dell'indennizzo gli Ermellini ricordano che la Corte UE ha precisato che nel quantificarlo è necessario tenere conto anche della gravità del reato e che lo stesso deve garantire un appropriato ristoro al danno morale e materiale subito. Con questo, precisa la Corte UE, non significa che il ristoro deve essere completo, non deve però neppure trattarsi di un indennizzo "puramente simbolico o manifestamente insufficiente alla luce della gravità delle conseguenze del reato per tali vittime." Deve trattarsi infatti di un contributo in grado di compensare in modo appropriato le sofferenze alle quali le vittime di reati intenzionali violenti sono state esposte.

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Scarica pdf Cassazione n. 26303/2021

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