Per la Cassazione, forma scritta a pena di nullità per l'accordo tra il cliente e l'avvocato per stabilire la misura del compenso dovuta al professionista

Accordo cliente avvocato sul compenso del professionista

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Con la sentenza n. 24213/2021 (sotto allegata) la Cassazione afferma il principio della necessità della forma scritta, a pena di nullità, dell'accordo che intercorre tra cliente e avvocato per quanto riguarda il compenso di quest'ultimo. Forma che non può essere sostituita da altri mezzi probatori, salvo casi del tutto eccezionali. Vediamo perché gli Ermellini hanno dovuto ribadire questo concetto.

La vicenda processuale

Il Tribunale riconosce a un avvocato un compenso inferiore rispetto a quello richiesto per l'attività svolta in favore di una S.n.c in quanto, sulla base di testimonianze, è emerso che le parti si erano accordate sulla misura del compenso.

Per l'avvocato l'accordo deve avere forma scritta

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L'avvocato ricorre in Cassazione contro la decisione del Tribunale sollevando tre motivi, di cui però merita di essere menzionato solo il secondo, che nel giudizio di legittimità ha assorbito tutti gli altri e con il quale l'avvocato denuncia la violazione dell'art. 2233 comma 3 del codice civile, che sancisce la nullità del patto tra avvocato e cliente per stabilire la misura del compenso se non viene redatto in forma scritta.

L'accordo sul compenso per l'avvocato deve essere redatto in forma scritta

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La Cassazione accoglie il ricorso sulla base del secondo motivo descritto, con assorbimento degli altri due perché in effetti l'art. 2233 comma 3 del codice civile invocato dall'avvocato ricorrente non è stato affatto abrogato dall'art. 13 comma 2 della legge n. 247/2012, che contiene la nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense. Tale norma infatti dispone al comma 2 solo che "Il compenso spettante al professionista è pattuito di regola per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico professionale."

Evidente che la norma non si riferisce alla forma del patto e quindi non modifica quanto sancito dall'art. 2233 c.c. comma 3, perché sottolinea più che altro il momento della stipula dell'accordo sul compenso, ossia quando viene conferito l'incarico. Qualora il legislatore avesse voluto eliminare l'obbligo della forma scritta per le pattuizioni dei compensi tra cliente e avvocato avrebbe abrogato il comma 3 dell'art. 2233 c.c che sanziona con la nullità gli accordi che non presentano il requisito formale della scritta.

Chiarito questo concetto fondamentale della forma scritta a pena di nullità dei patti relativi al compenso dell'avvocato, la Cassazione ribadisce le regole generali ossia che:

  • la forma scritta non può essere sostituita da altri mezzi di prova, neppure dalla confessione;
  • non è applicabile il principio di non contestazione,
  • la prova testimoniale è ammissibile come prova del contratto solo se il contraente, senza colpa, ha perso il documento;
  • "l'inammissibilità della prova, diversamente da quanto avviene quando il contratto deve essere provato per iscritto, è rilevabile d'ufficio e può essere eccepita per la prima volta anche in cassazione."

Nel caso di specie il Tribunale non ha fatto corretta applicazione dei principi suddetti perché ha ritenuto provato l'accordo sul compenso tra cliente e avvocato solo sulla base di testimonianze e sulla corrispondenza intercorsa tra le parti. Elementi dai quali ha desunto che le parti avessero raggiunto, anche per la causa in questione, un accordo analogo a quello relativo a cause che il professionista curava per una società cooperativa a responsabilità limitata collegata alla S.n.c.

Il Tribunale ha quindi ritenuto provato l'accordo solo sulla base di presunzioni, trascurando l'elemento probatorio principe della prova scritta, che non può essere sostituito, come già detto, da altri mezzi probatori.


Scarica pdf Cassazione n. 24213/2021

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