Per il Tribunale di Lecce la crisi economica causata dal Covid-19 è idonea a creare squilibri nel contratto e a imporre in base al dovere generale di buona fede oggettiva di rinegoziarne il contenuto

Covid-19: l'impatto della crisi economica sulle locazioni

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La crisi economica provocata dalla diffusione del virus Covid-19, che ha costretto molte attività a chiudere forzatamente (in particolare quelle legate a ristorazione e settore alberghiero), deve ritenersi una una sopravvenienza nel sostrato fattuale e giuridico che costituisce il presupposto del contratto di locazione. In tal caso il principio di buona e correttezza funge da "valvola" per ripristinare l'equilibrio negoziale, spingendo verso una rinegoziazione del contenuto.

Ammissibile, dunque, la riduzione dei canoni nei contratti a lungo termine, come quelli di locazione di immobili per l'esercizio di attività produttive, al fine di scongiurare la risoluzione del contratto per sopravvenuta onerosità.


Lo ha chiarito il Tribunale di Lecce in un'ordinanza del 24 Giugno 2021 (qui sotto allegata) pronunciandosi a seguito del ricorso ex art. 700 c.p.c. promosso da una conduttrice e volto alla riduzione dei canoni relativi a due contratti di locazione a uso alberghiero, in virtù dei danni economici provocati dalla pandemia da Covid-19.


La richiesta origina, in particolare, dalle rilevanti e gravose perdite dei ricavi subite per effetto della crisi epidemiologica a seguito della diffusione del virus Covid-19 sul territorio nazionale. Circostanze che, nel caso in esame, hanno condotto alla concessione, da parte della locatrice, di una riduzione del canone in occasione della prima ondata della pandemia, mentre un medesimo trattamento era stato rifiutato per i periodi successivi.


La conduttrice ha dunque esperito ricorso ex art. 447-bis c.p.c., con prima udienza fissata il 14 settembre 2021, a seguito del rifiuto della locatrice di bonario componimento della lite in sede di mediazione. Viene poi decisa l'attivazione del procedimento d'urgenza di cui è causa, anche in virtù, sottolinea la ricorrente, del peggioramento della situazione relativa alla pandemia da Covid-19 a causa della diffusione delle varianti, che hanno provocato il nuovo aumento di contagi e l'adozione di ulteriori misure restrittive.


In particolare, ritiene che la locatrice non abbia ottemperato all'obbligo, derivante dalla clausola generale di buona fede e correttezza, di ricontrattare le condizioni economiche del contratto di locazione a seguito delle sopravvenienze legate all'insorgere della pandemia.

Contratti di locazione e rinegoziazione causa COVID-19

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Per il giudicante, l'istanza è suscettibile di favorevole considerazione sotto il profilo del fumus borri iuris e del periculum in mora. La crisi economica dipesa dalla pandemia Covid-19 e la chiusura forzata delle attività commerciali (in particolare quelle legate al settore alberghiero e della ristorazione) viene qualificata quale "sopravvenienza nel sostrato fattuale e giuridico" costituente il presupposto della convenzione negoziale.


Nel caso delle locazioni commerciali, si legge nell'ordinanza, il contratto viene stipulato "sul presupposto" di un impiego dell'immobile per l'effettivo svolgimento di attività produttiva. Pertanto, pur in mancanza di clausole di rinegoziazione, si ritiene che i contratti a lungo termine, in applicazione dell'antico brocardo "rebus sic stantibus", debbano continuare ad essere rispettati e applicati dai contraenti sino a quando rimangono intatte le condizioni e i presupposti di cui essi hanno tenuto conto al momento della stipula del negozio.

Al contrario, qualora si ravvisi una sopravvenienza nel sostrato fattuale e giuridico che costituisce il presupposto della convenzione negoziale, come quella determinata dalla pandemia da Covid-19, il giudice pugliese ritiene che "la parte che riceverebbe uno svantaggio dal protrarsi dell'esecuzione del contratto alle stesse condizioni pattuite inizialmente, deve poter avere la possibilità di rinegoziarne il contenuto, in base al dovere generale di buona fede oggettiva (o correttezza) nella fase esecutiva del contratto (art. 1375 c.c.)".

Buona fede in caso di squilibri negoziali

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Il Tribunale condivide l'orientamento dottrinale secondo cui la buona fede può essere utilizzata anche con funzione integrativa cogente nei casi in cui si verifichino dei fattori sopravvenuti e imprevedibili, non presi in considerazione dalle parti al momento della stipulazione del rapporto, che sospingano lo squilibrio negoziale oltre la normale alea (rischio) del contratto.

Nello specifico, il citato orientamento ritiene che ciò può verificarsi nel caso dei cosiddetti "contratti relazionali", i quali implicano un rapporto continuativo tra le parti e mal tollerano la risoluzione del contratto. Una categoria nella quale si ritiene possibile ricomprendere anche i contratti di locazione di beni immobili per l'esercizio di attività produttive.

In simili casi, infatti, una eventuale risoluzione del contratto per eccessiva sopravvenuta onerosità comporterebbe inevitabilmente la perdita dell'avviamento per l'impresa colpita dall'eccessiva onerosità e la conseguente cessazione dell'attività economica.


In ipotesi del genere, si legge in ordinanza, in base alla clausola generale di buona fede e correttezza, sorge dunque un obbligo delle parti di contrattare al fine di addivenire a un nuovo accordo volto a riportare in equilibrio il contratto entro i limiti dell'alea normale dello stesso. In pratica, la clausola generale di buona fede e correttezza ha la funzione di rendere flessibile l'ordinamento, consentendo di tutelare fattispecie non contemplate dal legislatore.

Interventi del legislatore non sufficienti

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Il provvedimento in commento non manca, inoltre, di menzionare le misure previste a livello statale per ridurre l'impatto finanziario della pandemia nelle attività produttive, tra cui la previsione di un credito di imposta del 60% sui canoni di locazione (cfr. art. 65 D.L. 18/2020).


Tuttavia, a parere dello scrivente, nonostante gli sforzi, le suddette misure non sembrano essere sufficienti, almeno nel caso di specie, a riportare in equilibrio il contratto entro la sua normale alea, stante le perdite nette dei ricavi.


Pertanto, anche in presenza dell'intervento generale del legislatore per fare fronte alla crisi economica causata dal Covid-19, si ritiene "doveroso in tale ipotesi fare ricorso alla clausola generale di buona fede e di solidarietà sancita dall'art. 2 della Carta costituzionale al fine di riportare il contratto entro i limiti dell'alea normale", con conseguente obbligo delle parti ad addivenire a nuove trattative per ristabilire l'equilibrio negoziale.


Il ricorso è ritenuto fondato anche sotto il profilo del periculum in mora, in quanto il pagamento dei canoni in misura integrale è idoneo ad aggravare considerevolmente la situazione di crisi finanziaria della ricorrente. Da qui la decisione del Tribunale di accogliere il ricorso e disporre la riduzione dei canoni di locazione.

Si ringrazia l'Avv. Marco Lezzi per l'invio del provvedimento

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Foto: 123rf.com
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