Tenere un cane legato a catena viene vietato da diverse leggi regionali e regolamenti comunali ma, a seconda dei casi, non è da escludere che si possa configurare reato

Reato ex art. 727 c.p.

Tenere un cane legato è condotta vietata da diverse leggi (regionali) e regolamenti comunali e, a seconda dei casi, può anche integrare un reato.

Emblematico il caso deciso dal Tribunale Penale di Ivrea che, con sentenza n. 130 del 9 febbraio 2017, passata in giudicato, ha condannato alla pena di 250 euro di ammenda una donna per aver tenuto un cane razza American Stafforshire legato ad un guinzaglio più corto di 50 cm alla ringhiera del cortile di casa.

Il povero cane era stato sequestrato grazie all'intervento delle guardie eco zoofile dell'OIPA Italia - Organizzazione Internazionale Protezione Animali - e tenuto in custodia giudiziaria presso una struttura canile per poi essere affidato, definitivamente, con confisca.

In fase di istruttoria dibattimentale era emerso che la condotta dell'imputata aveva provocato al cane delle lesioni al collo.

Essere tenuto perennemente legato ad una lunghezza così corta, senza possibilità di movimento, aveva reso il cane molto nervoso con comportamenti aggressivi e, inoltre, come da certificato medico agli atti, risultava che l'animale riportava sul collo una lesione alopecica arrossata provocata, appunto, da catena o collare.

Condotta tale da integrare contravvenzione ex art. 727 c.p.

Ancora, in fase di accertamento dei fatti, emergeva che il cane risultava in anagrafe regionale intestato ad una terza persona ma, ciò nonostante, l'animale è stato confiscato e ceduto in affido definitivo alla struttura canile che aveva provveduto a prendersene cura durante il sequestro.

Non è raro che il giudice penale deve decidere casi di questo tipo: purtroppo la detenzione perenne del cane legato a catena corta o con altro strumento similare, è una pratica frequente dovuta probabilmente all'insensibilità dell'agente o all'incapacità di gestione dello stesso animale.

E' bene evidenziare che, secondo la giurisprudenza prevalente, al fine di configurare il reato di detenzione incompatibile di animale non è necessaria la volontà dell'agente di infierire sull'animale stesso né che quest'ultimo riporti lesioni all'integrità fisica, potendo la sofferenza consistere anche in soli patimenti.

La Cassazione sul reato di maltrattamento di animali

Ancora, famosa è una sentenza della Corte di Cassazione Penale, Sez. III, n. 26368/2011, che ha confermato la condanna per il reato di maltrattamento di animali, punito dall'art. 544 ter c.p. nei confronti di un uomo che aveva tenuto i propri tre cani legati corti alla catena, tanto da presentare abrasioni al collo, con il solo riparo consistente nel palo di un trattore e in un luogo pieno di fango e rifiuti ferrosi.

La difesa aveva provato a sostenere l'impossibilità, per il proprietario - imputato, di recarsi dai propri cani per motivi di salute: giustificazione non accolta in quanto lo stesso avrebbe ben potuto delegare altra persona evitando agli animali una sofferenza inutile.

Nella sentenza di condanna, infatti, si sottolinea che l'uomo aveva "incrudelito senza ragioni sui poveri animali" e, le temporanee menomazioni fisiche che, a parere della difesa, avrebbero impedito all'imputato di eseguire con facilità i movimenti per provvedere ai cani, sono state ritenute dalla Cassazione non giustificative: manca lo stato di necessità.

Detenzioni di questo tipo, seppur eticamente ed etologicamente contestabili non sempre, tuttavia, integrano una penale responsabilità: ogni caso va valutato a sé.

In situazioni gravi come quelle sopra descritte è quindi possibile trasmettere un'accurata segnalazione all'Autorità competente per effettuare un sopralluogo anche solo preventivo.

A cura di avv. Claudia Taccani

Responsabile Sportello Legale OIPA Italia

www.oipa.org


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