La Cassazione rigetta il ricorso dell'Avv. Taormina: l'Associazione è legittimata ad agire contro dichiarazioni discriminatorie alla radio in materia di occupazione

Condannato a 10.000 euro per frasi discriminatorie

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Pubblicata la decisione della Cassazione, che si è espressa con l'ordinanza n. 28646/2020 (sotto allegata) sulla vicenda processuale che ha visto coinvolto il noto Avv. Taormina, portato in giudizio dall'Associazione per la tutela dei diritti LGBT, alla quale gli Ermellini hanno riconosciuto la legittimità ad agire in giudizio e chiedere il risarcimento dei danni derivati alla categoria tutelata, a causa delle dichiarazioni dal contenuto discriminatorio pronunciate alla Radio da Taormina. Ripercorriamo cosa è successo e come ha articolato la sua decisione la Cassazione.

Un'Associazione conviene in giudizio l'avvocato Taormina per far accertare il carattere discriminatorio delle dichiarazioni da lui rese durante un'intervista radiofonica, in cui ha affermato di non voler assumere o volersi avvalere della collaborazione di persone omosessuali.

Il Tribunale dichiara le affermazioni del legale discriminatorie e lo condanna a risarcire il danno nella misura di 10.000,00 euro. Ordina inoltre che venga pubblicato l'estratto della sentenza su di un quotidiano nazionale e condanna il legale al pagamento delle spese di lite.

L'avvocato Taormina a quel punto ricorre in appello, censurando principalmente il difetto di legittimazione processuale e sostanziale dell'Associazione, non potendo considerarsi ente esponenziale di diritti e/o interessi diffusi e contestando la condanna al risarcimento e al pagamento delle spese. La Corte però respinge il gravame e conferma la decisione di primo grado.

La Corte UE su discriminazione e libertà di manifestazione del pensiero

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Taormina, soccombente in entrambi i giudizi di merito, decide a questo punto di ricorrere in Cassazione sollevando diversi motivi di doglianza. La Cassazione però in via pregiudiziale chiede l'intervento della Corte UE al fine di risolvere, in particolare, le seguenti questioni:

"1.Se l'interpretazione dell'art. 9 della direttiva n. 2000/78/CE sia nel senso che un'associazione, composta da avvocati specializzati nella tutela giudiziale di una categoria di soggetti a differente orientamento sessuale la quale, nello statuto, dichiari il fine di promuovere la cultura e il rispetto dei diritti della categoria, si ponga automaticamente come portatrice di un interesse collettivo e associazione di tendenza non profit, legittimata ad agire in giudizio, anche con una domanda risarcitoria, in presenza di fatti ritenuti discriminatori per detta categoria;

2. Se rientri nell'ambito di applicazione della tutela antidiscriminatoria predisposta dalla direttiva n. 2000/78/CE, secondo l'esatta interpretazione dei suoi artt. 2 e 3, una dichiarazione di manifestazione del pensiero contraria alla categoria delle persone omosessuali, con la quale, in un'intervista rilasciata nel corso di una trasmissione radiofonica di intrattenimento, l'intervistato abbia dichiarato che mai assumerebbe o vorrebbe avvalersi della collaborazione di dette persone nel proprio studio professionale, sebbene non fosse affatto attuale né programmata dal medesimo una selezione di lavoro."

Rilevano le dichiarazioni in radio e l'associazione può agire in giudizio

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Queste le risposte della Corte UE sulle due questioni sollevate dagli Ermellini:

  • "La direttiva 2000/78 deve essere interpretata nel senso che essa non osta ad una normativa nazionale in virtù della quale un'associazione di avvocati, la cui finalità statutaria consista nel difendere in giudizio le persone aventi segnatamente un determinato orientamento sessuale e nel promuovere la cultura e il rispetto dei diritti di tale categoria di persone, sia, in ragione di tale finalità e indipendentemente dall'eventuale scopo di lucro dell'associazione stessa, automaticamente legittimata ad avviare un procedimento giurisdizionale inteso a far rispettare gli obblighi risultanti dalla direttiva summenzionata e, eventualmente, ad ottenere il risarcimento del danno, nel caso in cui si verifichino fatti idonei a costituire una discriminazione, ai sensi di detta direttiva, nei confronti della citata categoria di persona e non sia identificabile una persona lesa.
  • La nozione di condizioni di accesso all'occupazione e al lavoro contenuta nell'art. 3 par. 1 lett. a) della direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, deve essere interpretata nel senso che in essa rientrano delle dichiarazioni rese da una persona nel corso di una trasmissione audiovisiva secondo le quali tale persona mai assumerebbe o vorrebbe avvalersi, nella propria impresa, della collaborazione di persone di un determinato orientamento sessuale, e ciò sebbene non fosse in corso o programmata una procedura di selezione di personale, purché il collegamento tra dette dichiarazioni e le condizioni di accesso all'occupazione e al lavoro in seno a tale impresa non sia ipotetico.

Il diritto nazionale può prevedere tutele più incisive contro discriminazioni

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Nel ricorso in Cassazione l'avvocato fa presente, in merito alla doglianza relativa alla capacità processuale e alla legittimazione ad agire della associazione che non rileva che nello statuto l'associazione si proponga il fine di diffondere la cultura del rispetto delle persone LGTB (Lesbica, Gay, Bisessuale Transessuale), un'associazione può infatti dirsi portatrice di interessi collettivi ed ente esponenziale degli stessi solo se partecipata dai soggetti attivi per la realizzazione di tali interessi, non come nel caso di specie da avvocati il cui fine è solo quello di offrire assistenza giudiziaria alla categoria.

La Cassazione però, dopo aver illustrato i principi nazionali e sovranazionali in materia ricorda come correttamente "La sentenza impugnata ha ritenuto l'Associazione, odierna contro-ricorrente, legittimata all'azione per il fatto che, secondo l'art. 2 dello statuto, l'associazione si propone, in generale - lo scopo di contribuire a sviluppare e diffondere la cultura e il rispetto dei diritti

delle persone - con date preferenze sessuali - sollecitando l'attenzione del mondo giudiziario-, e, quindi, in particolare, che essa -gestisce la formazione di una rete di avvocati, favorisce e promuove la tutela giudiziaria, nonché l'utilizzazione degli strumenti di tutela collettiva, presso le Corti nazionali e internazionali -, così conformandosi ai principi di diritto nazionale e sovranazionale sin qui esposti."

Sulla base delle precedenti considerazioni la Cassazione, per quanto riguarda il tema della disciplina sovranazionale e nazionale applicabile spiega che l'art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 216/2003 è espressione della facoltà che la Direttiva 2000/78 riconosce agli Stati Membri di "concedere una tutela più incisiva di diritto nazionale rispetto agli atti discriminatori in ambito lavorativo, attribuendo - nel caso in cui si verifichino fatti idonei a costituire una discriminazione, nei

confronti della citata categoria di persone e non sia identificabile una persona lesa - la legittimazione attiva ad avviare un procedimento giurisdizionale inteso a far rispettare gli obblighi risultanti dalla direttiva e, eventualmente, ad ottenere il risarcimento del danno a un'associazione che sia rappresentativa del diritto o dell'interesse leso."

Taormina: "Rispetto le sentenze ... ma non condivido"

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Rigettato quindi il ricorso del noto avvocato, che all'indomani della sentenza della Cassazione dichiara di rispettare le sentenze e di aver provveduto pertanto a pagare il risarcimento a cui è stato condannato, ma di non condividere le conclusioni a cui è giunta la corte di legittimità. Per il noto Avvocato "ci troviamo in una situazione in cui l'Europa comanda e perfino la Corte di Cassazione obbedisce: è in atto un rivolgimento dei principi costituzionali. Vivo una condizione di limitata libertà"

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Scarica pdf Cassazione n. 28646/2020

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