Secondo la Cassazione, il patto che prevede la maggiorazione del canone elude il fisco e non ha efficacia novativa del precedente accordo queste le ragioni per cui gli importi corrisposti vanno restituiti

Locazione e accordi sul canone

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La Corte di Cassazione con la sentenza
n. 22126 del 2020 pubblicata il 13 ottobre 2020 torna ad esprimersi in tema di locazione ponendo particolare attenzione agli accordi intercorsi tra i contraenti sull'ammontare del canone. La Suprema Corte effettua una ricognizione degli istituti giuridici coinvolti, tra novazione e simulazione, concludendo che ove le parti abbiano stipulato un contratto scritto contenente l'indicazione di un canone superiore rispetto a quello dichiarato in un precedente contratto di locazione registrato, siffatto accordo deve ritenersi non sostitutivo del precedente accordo, ma soprattutto nullo per illiceità della causa in quanto avente lo scopo di eludere il fisco.

Il caso sottoposto all'esame della Cassazione

La controversia riguarda l'intimazione di uno sfratto per morosità derivante da una locazione di un immobile ad uso commerciale il cui contratto risulta stipulato il 31.3.2006 e registrato il 4.4.2006. A questa si oppone il conduttore sostenendo che il rapporto giuridico fosse insorto tra le parti non in virtù dell'anzidetto contratto

bensì di uno precedente risalente al 1.2.2000 avente canone più basso. Aggiunge l'intimato che la locatrice avesse preteso sin dal 2000 il pagamento del canone di importo maggiore, nonché la stipula del secondo contratto nel 2006 questa volta con canone pari a quanto corrisposto. L'intimato nel ricostruire in tal modo il rapporto contrattuale intercorrente tra le parti in causa sosteneva la nullità del secondo contratto per violazione delle norme imperative in quanto volto ad ottenere un canone maggiore, nonché la violazione dell'art. 79, L. 392/78. Ciò stante il resistente in via riconvenzionale chiedeva accertarsi la vigenza del primo contratto di locazione (con canone più basso), con conseguente nullità di ogni diversa determinazione contra legem e restituzione dei maggiori canoni corrisposti.

In primo grado viene accolta la tesi dell'intimata, il Tribunale dichiara infatti vigente tra le parti il primo contratto tra queste stipulato nel 2000 e conseguentemente nullo il secondo a canone maggiorato con condanna alla restituzione delle somme percepite in eccesso dalla locatrice.

La sentenza viene totalmente ribaltata dalla Corte d'Appello di Roma la quale ha ritenuto che non fosse applicabile al caso di specie la censura derivante dalla violazione dell'art. 79 citato riferendo l'operatività di quest'ultimo esclusivamente ai casi in cui siano pretese somme maggiori rispetto a quelle pattuite. In altre parole, la Corte d'Appello riconosce valida e vigente tra le parti la seconda pattuizione quale causa del pagamento dei canoni maggiorati.

Allo stesso modo, i giudici del secondo grado ritengono non applicabile la censura contenuta nell'art. 13, comma 1, L. 431 del 1998 in quanto riferita, nel prevedere la nullità delle pattuizioni volte a determinare un canone superiore rispetto a quello risultante dal contratto scritto e registrato, esclusivamente alle locazioni abitative e non ad uso commerciale come nel caso di specie.

In ultimo, i giudici di appello ribaltano la sentenza di primo grado sostenendo l'efficacia novativa dell'accordo del 2006 rispetto al precedente modificato nei suoi elementi non accessori. In particolare, la forza novativa del secondo contratto viene fatta risalire alla previsione della risoluzione di diritto in caso di ritardato pagamento, ovvero nella previsione di un maggior canone o di una maggiore misura dell'aggiornamento ISTAT.

Avverso siffatta decisione il conduttore propone ricorso per Cassazione cui resiste la locatrice con controricorso spiegando anche ricorso incidentale condizionato.

I motivi di impugnazione: il patto di maggiorazione del canone locatizio

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In particolare, il ricorrente principale deduce l'errore in cui sarebbe incorsa la Corte nell'aver riconosciuto la novazione tra il primo e il secondo contratto pur non esistendone i presupposti in quanto mancante nell'elemento oggettivo e soggettivo. Invero, sostiene il ricorrente principale, da un lato, il nuovo accordo non avrebbe interessato elementi quali l'oggetto e il titolo (aliquid novi) del contratto precedente, ma piuttosto solo elementi accessori ex art. 1231 c.c.; dall'altro lato, sarebbe mancato l'animus novandi così come la causa novandi. Al contrario, il conduttore afferma che la controparte abbia attuato a suo danno un abuso del diritto: in effetti, anche lo stesso canone risultava del tutto identico nel suo ammontare nei due periodi contrattuali, dapprima pagato de facto e successivamente di diritto.

Il ricorrente impugna, inoltre, la sentenza di secondo grado per aver erroneamente ritenuto provata l'esistenza di una simulazione ove il primo contratto assumeva le caratteristiche dell'accordo simulato e il secondo quello dell'accordo dissimulato e ciò sulla scorta della corresponsione sin dall'origine del rapporto giuridico venutosi a creare di un importo pari a quello previsto nel contratto del 2006.

In ultimo, la ricorrente principale rileva la nullità dell'accordo volto a maggiorare l'importo dovuto a titolo di canoni di locazione nel contratto apparente, in quanto contrario all'art. 79, L. 392/1978.

La locatrice nel proprio controricorso chiede alla Corte di Cassazione di riconoscere l'efficacia novativa del secondo accordo tale da far venir meno l'incongruenza tra il canone dichiarato e quello effettivo.

Non esiste novazione tra contratto reale e contratto apparente

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Prendendo le mosse dalla censura avente ad oggetto l'erroneo riconoscimento di un rapporto novativo tra i due contratti locativi, la Corte di Cassazione ritiene fondato aver ritenuto erronea la conclusione cui è giunto il giudice d'appello. Ed infatti, sostengono i giudici di legittimità, non è sufficiente a integrare una novazione dal lato oggettivo (aliquid novi), del rapporto obbligatorio la variazione del canone di locazione, ovvero la previsione di una risoluzione contrattuale di diritto od ancora la previsione di una misura maggiore della rivalutazione ISTAT in quanto tutti elementi accessori del contratto, ovvero appartenenti a situazioni meramente patologiche dello stesso e dunque solo eventuali. ciò vale tantopiù che nella sentenza impugnata si sia ritenuto assente sia l'animus che la causa novandi, conclusioni non sindacabili in sede di legittimità, se logicamente e correttamente motivato, costituendo espressione di una valutazione nel merito della causa (ex multis, Cass. 13/6/2017, n. 14620; 09/3/2010 n. 5673; 21/5/2007 n. 11672).

Le locazioni richiedono la prova scritta dell'accordo simulatorio

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Venendo alla censura mossa in tema di prova dell'esistenza dell'accordo simulatorio, i giudici di legittimità affermano la necessità di osservare i limiti di cui agli artt. 1414 ss c.c. e 2722 c.c. e censurano la valorizzazione effettuata dalla Corte territoriale del solo dato fattuale, trattato alla stregua di una presunzione, consistente nell'effettivo versamento da parte del conduttore nel corso del rapporto del preteso canone maggiore. Siffatta conclusione proviene dalla lettura a contrario dell'art. 1417 c.c., pertanto, se il negozio è stato redatto per iscritto vale la regola generale della inammissibilità della prova testimoniale, potendosi al contrario ammettere solo eventuali controdichiarazioni scritte, sia che si tratti di simulazione assoluta che relativa (art. 2722 c.c.; Cass. 15.1.2003, n. 471). Ne consegue che come risulta inammissibile la prova testimoniale, analogamente inammissibili devono ritenersi le presunzioni (art. 2729, comma II, c.c.). Né è possibile, proseguono i giudici di legittimità, ritenersi principi di prova scritta le ricevute di pagamento rilasciate dalla locatrice per gli importi maggiorati, così non legittimando l'applicazione della deroga all'ammissibilità della prova testimoniale e/o presuntiva. Invero, come espresso dall'art. 2724, n. 1 c.c. per potersi avere un principio di prova scritta occorre che quest'ultima provenga dalla controparte ossia non dalla parte che chiede l'assunzione della prova e che sia legato al fatto da provare da un nesso logico.

La violazione delle norme tributarie rende nullo il contratto di locazione

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Gli Ermellini proseguono l'esame dei motivi di impugnazione soffermandosi sulla censura di nullità che avrebbe dovuto pronunciarsi rispetto al contratto dissimulato sulla scorta del principio affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 23601 del 2017 secondo cui è nullo in modo insanabile e a prescindere dall'avvenuta registrazione il patto afferente a locazioni di immobili ad uso non abitativo nel quale le parti concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato. Alle stesse conseguenze si perviene anche alla luce dell'art. 79, L. 392/78.

Come evidente, viene affermata l'interferenza tra le regole di diritto tributario con quelle civilistiche, contravvenendo a quanto normativamente previsto dall'art. 10, comma 3, L. 212/2000. Ed infatti, sempre più spesso, si fa notare, il legislatore ricorre, nella specifica materia locatizia, alle figure della nullità testuale (art. 1418, comma 3, c.c.), o virtuale (art. 1418, comma 1, c.c.), ponendole a presidio dell'osservanza degli obblighi tributari (ex multis, art. 13, comma 1, L. 431/1998; art. 1, comma 346, L. 311/2004), ricevendo anche l'avallo da parte della Corte costituzionale. La ratio sottesa a siffatto orientamento intende le norme tributarie quali norme imperative la cui violazione nel caso di previsione di un patto occulto di maggiorazione del canone, in quanto elusivo delle regole fiscali, rende la causa concreta di quest'ultimo illecita ab origine e, dunque, affetta da una nullità insanabile (Cass. S.U. n. 18213 del 2015 e Corte cost. 420 del 2007). Lo scopo di elusione della norma tributaria spiega perché sia prevista la nullità insanabile del patto occulto o simulato del canone quale sanzione certamente più grave rispetto al caso in cui vi sia l'omissione della registrazione del contratto contenente la previsione di un canone non simulato. In tale ultimo caso, infatti, la nullità (testuale) deve intendersi sanabile con efficacia ex tunc a seguito del tardivo adempimento all'obbligo di registrazione. In altre parole, la diversità delle conseguenze previste nei due casi posti a confronto trova congrua spiegazione nella "maggiore gravità del vizio che inficia le ipotesi simulatorie rispetto a quelle in cui manchi la registrazione del contratto tout court: un vizio genetico e voluto da entrambe le parti nel primo caso, un inadempimento successivo alla stipula di un contratto geneticamente valido, nel secondo caso".

Le conclusioni della Corte di Cassazione

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La Corte di Cassazione conclude affermando che la successiva pattuizione di un canone locatizio maggiorato rispetto a quanto antecedentemente concordato tra le parti, da un lato, non ha carattere novativo rispetto a quest'ultimo essendo carente degli elementi oggettivi e soggettivi che ne costituiscono il presupposto; dall'altro lato, è nulla per violazione dell'art. 79 citato, in quanto l'accordo simulatorio trova la sua causa concreta (scopo pratico) nella finalità di eludere il fisco.

Avv. Silvia Cermaria

Studio Legale Cermaria

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