Più che legittima la sospensione dell'avvocato che, in cambio dell'accettazione dell'incarico, chiede prestazioni sessuali

Procedimento disciplinare avvocato

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Il CNF con la sentenza n. 145/2019 (sotto allegata) rigetta il ricorso di un avvocato accusato da due clienti di aver inviato messaggi telefonici in cui richiedeva, per l'accettazione dell'incarico, favori di natura sessuale. Un procedimento disciplinare che ha inizia nel momento in cui i due coniugi assistiti si rivolgono al COA di Pescara, contestando a un avvocato del Foro la mancata fatturazione del compenso di 270 euro e l'invio di due messaggi telefonici da cui si evince che si sarebbe attivato professionalmente solo in cambio di prestazioni sessuali. All'esposto i coniugi allegano la trascrizione dei messaggi e una perizia giurata ed asseverata.

Il COA avverte l'avvocato che sono in corso accertamenti per valutare la violazione da parte sua di alcune norme disciplinari. L'Avvocato deposita una memoria difensiva deducendo la falsità delle contestazioni sollevate dai coniugi nei suoi confronti, negando altresì di aver inviato sms del tenore denunciato perché contrario ai suoi valori morali e religiosi.

Il COA però apre un procedimento disciplinare nei suoi confronti per violazione degli artt. 5, 7, 8 e 15 del Codice di Deontologia Forense per omessa fatturazione dell'importo di 270 euro, per i messaggi dal contenuto esplicitamente sessuale e per aver omesso di fornire ai suoi clienti una relazione dettagliata sullo stato delle pratiche per le quali gli è stato revocato l'incarico. Al termine del procedimento il COA proscioglie l'avvocato per la terza violazione contestata, mentre per i messaggi e la mancata fatturazione irroga la sanzione della sospensione dall'esercizio dell'attività professionale per due mesi.

Per l'avvocato è colpa del T9

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L'avvocato a questo ricorre al CNF, contestando la decisione del COA di appartenenza per le seguenti ragioni:

  • per quanto riguarda la mancata fatturazione l'avvocato fa presente di aver adempiuto, seppur tardivamente, alla regolarizzazione tramite ravvedimento operoso;
  • mentre in relazione ai messaggi nega di averli inviati, imputando l'errore al sistema automatico di digitazione (noto come T9) e non alla sua volontà. Da qui l'assenza di responsabilità, l'inapplicabilità dell'art. 5, oggi art. 9 del Codice deontologico e quindi quantomeno la riduzione della sanzione, potendosi applicare, in alternativa, l'avvertimento o la censura.

Probità, dignità e decoro: doveri e concetti 'faro' per l'avvocato

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Il CNF adito però, con la sentenza n. 145/2019 (sotto allegata) rigetta il ricorso dell'avvocato per le ragioni che si vanno a esporre.

Prima di tutto il CNF osserva che dall'istruttoria compiuta dal COA è emerso che:

"a) l'incolpato non ha negato di essere stato all'epoca dell'invio dei due messaggi intestatario dell'utenza;
b) inconfutabili appaiono le circostanze di tempo dedotte con riferimento alla detta utilizzazione dell'apparecchio mobile;
c) l'apparecchio non è mai stato nella disponibilità di terzi, anche a dire del ricorrente
d) il numero telefonico dal quale provenivano i messaggi è quello rubricato dagli esponenti ed utilizzato dagli stessi per contattare il professionista."

L'avvocato ricorrente non ha provato l'errore del sistema automatico dell'invio dei messaggi, limitandosi ad affermalo. Per cui non è censurabile la decisione del COA sulla violazione dei doveri di probità, dignità e decoro sanciti dal Codice Deontologico.

Come evidenzia il CNF "I concetti di probità, dignità e decoro costituiscono doveri generali e concetti "faro", a cui si ispira ogni regola deontologica, giacché essi rappresentano le necessarie premesse per l'agire degli avvocati, e mirano a tutelare l'affidamento che la collettività ripone nella figura dell'avvocato, quale professionista leale e corretto in ogni ambito della propria attività. L'avvocato deve svolgere la propria attività con lealtà e correttezza, non solo nei confronti della parte assistita, ma anche e soprattutto verso l'ordinamento, generale dello Stato e particolare della professione, verso la società, verso i terzi in genere."

Sulla mancata fatturazione, di cui l'avvocato ricorrente contesta la volontarietà della condotta, il CNF precisa che "è sufficiente la "suitas" della condotta, intesa come volontà consapevole dell'atto che si compie, dovendo la coscienza e la volontà essere interpretate in rapporto alla possibilità di esercitare sul proprio comportamento un controllo e, quindi, dominarlo. L'evitabilità della condotta, pertanto, delinea la soglia minima della sua attribuibilità al soggetto, intesa come appartenenza della condotta al soggetto stesso, a nulla rilevando la ritenuta sussistenza da parte del professionista di una causa di giustificazione o non punibilità."

Respinta infine anche la doglianza relativa all'eccessiva gravosità della sanzione "in quanto appare di estrema gravità la confusione o la sovrapposizione dell'atto sessuale alla prestazione professionale."

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