Il reato di minaccia per essere integrato richiede solo che la condotta sia in grado d'incidere sulla libertà morale della vittima

di Annamaria Villafrate - La Cassazione con sentenza n. 11708/2020 (sotto allegata) chiarisce che al fine d'integrare il reato di minaccia non è necessario che il gesto di afferrare un piccone sia accompagnato da frasi ingiuriose e dal gesto di colpire. Basta che la condotta, minacciosa nel suo complesso, sia in grado d'incidere sulla libertà morale della persona offesa, senza la necessità che questa risulti effettivamente intimidita dal gesto. Va quindi accolto il ricorso della persona offesa, con conseguente annullamento della sentenza e rinvio al giudice competente per un nuovo esame.

Imputato assolto dai reati di minaccia e ingiuria

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La Corte d'Appello riforma la sentenza del Tribunale, assolvendo l'imputato

dal reato di minaccia contemplato dall'art. 612 c.p perché il fatto non sussiste e da quello d'ingiuria, perché non è più previsto dalla legge come illecito penale. In sede di indagini la persona offesa ha affermato che l'imputato l'ha minacciata con il piccone, senza però fare il gesto di colpirla. La teste non ha confermato la versione, per cui alla fine la Corte ha considerato tale gesto sicuramente incivile, ma privo di rilievo penale.

Assenza di motivazione

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La parte civile ricorre in sede di legittimità sollevando due motivi.

Con il primo lamenta come la motivazione sia assente, contraddittoria e illogica, in quanto la sentenza ha assolto l'imputato dal reato di minaccia grave, revocando le statuizioni civili, travisando le dichiarazioni della teste, della persona offesa e trascurando quelle del Carabiniere.

Con il secondo lamenta inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 612 c.p. perché il reato è da considerarsi integrato in tutti i suoi elementi. L'imputato infatti ha usato "il piccone nello scendere dalla propria autovettura dirigendosi verso la persona offesa."

Minaccia anche solo afferrare il piccone

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Con sentenza n. 11708/2020 la Cassazione, ritenendo il ricorso fondato, annulla la sentenza impugnata e rinvia al giudice civile. In effetti come evidenziato nella sentenza di primo grado l'imputato ha tenuto una condotta minacciosa, in quanto dopo aver ingiuriato la persona offesa per motivi di circolazione stradale, scendeva dall'auto afferrando un piccone che deteneva all'interno dell'auto dirigendosi verso la stessa. Versione che, contrariamente a quanto indicato nella sentenza impugnata, non è stata smentita dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa nel corso delle indagini preliminari. I Carabinieri poi hanno rinvenuto il piccone nell'abitazione dell'imputato. La sentenza impugnata conferma infine l'episodio del piccone, in base ai racconti della persona offesa e per ammissione dello stesso imputato.

Occorre quindi ribadire i principi già affermati in merito all'art. 612 c.p. ovvero che, affinché possa considerarsi integrato il reato di minaccia, non è necessario che vengano pronunciate frasi dal contenuto minaccioso, essendo sufficiente che la condotta nel suo complesso possa considerarsi minacciosa. "Il comportamento consistente nell'armarsi di un piccone, mostrandolo dopo aver proferito frasi ingiuriose, ben può integrare una condotta minacciosa grave ex art 612 c.p." Occorre infine considerare che il reato di minaccia è di pericolo e la minaccia deve essere valutata con un criterio medio e tenendo conto delle circostanze. Non occorre che la persona offesa si sia sentita intimidita, basta che la condotta del reo sia in grado solo di incidere sulla sua libertà morale. Il reato non viene meno infine neppure se la vittima sua volta assume una condotta provocatoria o minacciosa.

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