Per la Suprema Corte, lo straniero imputato di un delitto contro persona o famiglia non potrà invocare le differenze culturali e religiose per scriminare comportamenti incompatibili col diritto italiano

di Lucia Izzo - Il cittadino straniero non potrà invocare, quale causa di giustificazione per il reato di maltrattamenti commesso nei confronti della compagna, le connotazioni culturali e religiose proprie del paese d'origine. Questo perché ha scelto di vivere in Italia dove assume centralità il rispetto della persona umana, ai sensi dell'art. 3 della Costituzione, affinché sia consentita l'instaurazione di una società civile multietnica.

Condanna per violenza sessuale e maltrattamenti in famiglia

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, terza sezione penale, nella sentenza n. 8986/2020 (qui sotto allegata) pronunciandosi sul ricorso di un uomo condannato, oltre che per violenza sessuale, anche per i reati di maltrattamenti in famiglia e lesioni personali aggravate in danno della convivente more uxorio.

La difesa dell'imputato lamenta che, in ordine a tali reati, non sia stata attribuita rilevanza scriminante o anche soltanto rilievo ai fini della dosimetria della pena, alle particolari connotazioni culturali e religiose proprie dell'imputato. Una doglianza che la Cassazione respinge con fermezza.

Differenze culturali e religiose non scriminano i maltrattamenti

Per i giudici, è "apodittica" la conclusione per la quale le gravissime condotte di maltrattamento e lesioni descritte nelle sentenze di merito dovrebbero dirsi scriminate, ex art. 51 c.p., attribuendo rilievo alle "differenze culturali e religiose dell'imputato" è in fatto, ancor prima che in diritto, incomprensibile.

Viene dunque ribadito il principio secondo cui, in tema dì cause di giustificazione, lo straniero imputato di un delitto contro la persona o contro la famiglia (ad esempio, maltrattamenti in famiglia

, violenza sessuale, violazione degli obblighi di assistenza familiare) non può invocare, neppure in forma putativa, la scriminante dell'esercizio di un diritto correlata a facoltà asseritamente riconosciute dall'ordinamento dello Stato di provenienza, qualora tale diritto debba ritenersi oggettivamente incompatibile con le regole dell'ordinamento italiano, in cui l'agente ha scelto di vivere.

Ciò in quanto emerge l'esigenza di valorizzare, in linea con l'art. 3 della Costituzione, la centralità della persona umana, quale principio in grado di armonizzare le culture individuali rispondenti a culture diverse, e di consentire quindi l'instaurazione di una società civile multietnica (cfr. Cass. n. 14960/2015).

Scarica pdf Cassazione Penale, sentenza n. 8986/2020

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