Per la Cassazione, nell'applicare allo stalker il divieto di avvicinamento alla vittima non si possono imporre restrizioni tali da costringere il persecutore a cambiare casa

di Annamaria Villafrate - Con la sentenza n. 3240/2020 (sotto allegata) la Cassazione chiarisce che in caso di stalking condominiale, la misura cautelare applicabile all'indagato, non può sfociare nella privazione della libertà di costui di continuare ad abitare in casa sua, anche se il suo appartamento e quello del soggetto perseguitato si trovano uno sopra l'altro. In casi come questi il giudice che applica la misura cautelare deve contemperare le esigente di tutela della vittima, salvaguardando i diritti dell'indagato, disponendo precisi limiti e prescrizioni. Da qui la necessità di annullare con rinvio per un nuovo esame l'ordinanza che ha disposto il divieto di avvicinamento all'edificio della persona offesa, mantenendosi a una distanza di 50 metri, perché di fatto la misura ha costretto l'indagato a cambiare dimora.

Condanna per stalking

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Il Gip del Tribunale applica la misura cautelare del divieto di avvicinamento nei confronti di un soggetto, accusato di atti persecutori e lesioni aggravate ai danni di un vicino di casa.

Secondo l'accusa l'indagato ha minacciato, molestato e insultato il soggetto passivo anche a causa delle sue condizioni fisiche, stante l'amputazione di una gamba che lo ha costretto su una sedia a rotelle. In un'occasione avrebbe anche recato allo stesso lesioni fisiche, colpendolo al naso con un pugno.

Il ricorso in Cassazione

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Il difensore ricorre avverso l'ordinanza con cui il Gip ha rigettato la richiesta di riesame lamentando le violazioni che si vanno a illustrare.

Il difensore dell'indagato ritiene che il Gip abbia applicato una misura cautelare (divieto di avvicinamento all'edificio dove la persona offesa dimora, mantenendosi a distanza di almeno 50 metri dallo stesso), più afflittiva di quella richiesta dal Pm, che si era limitato a chiedere il divieto di avvicinarsi alla vittima e a parlare con lui. Il problema è che le parti vivono nello stesso edificio condominiale su piani diversi, per cui, di fatto, l'indagato è stato costretto a lasciare la propria abitazione, subendo così una restrizione della sua libertà superiore a quella chiesta dal PM.

Il Gip avrebbe dovuto rigettare la richiesta del PM e applicare una misura cautelare tale da escludere il contatto tra le parti, dettando all'indagato adeguate regole di comportamento da tenere nei confronti della persona offesa

, in caso d'incontri involontari. Il difensore rileva come in casi di "stalking condominiale" è necessario che vengano contemperate le esigenze di tutti i soggetti coinvolti, aspetto di cui il Tribunale non ha tenuto conto, anche se avrebbe potuto farlo agevolmente visto che le parti coinvolte vivono su piani diversi, hanno due ingressi distinti e aree di parcheggio diversificate.

Nel caso di specie non vi sarebbe inoltre una gravità indiziaria tale da applicare una misura cautelare così restrittiva. La vittima non ha mutato le sue abitudini di vita e in essa non si è generato uno stato d'ansia. Il difensore rileva inoltre come le uniche dichiarazioni rese dalle persone presenti ai fatti risultano inattendibili perché amiche della persona offesa, che non vivono nel condominio. Deve far riflettere infatti che i condomini dello stabile non abbiano mai notato le condotte contestate.

Si fa presente inoltre come in un altro procedimento, a parti inverse, è emerso che in realtà era la persona offesa a cercare pretesti d'incontro con l'indagato, recando con sé, in quelle occasioni, un registratore, da cui è emerso, da dialoghi interrotti, che il presunto stalker si limitava solo a reagire alle provocazioni della presunta vittima.

La difesa contesta inoltre al Tribunale di aver rappresentato l'incapacità dell'indagato a controllare la propria aggressività, come condotta incompatibile con il disturbo bipolare certificato, caratterizzato da pacatezza e depressione. Documentazione che il Tribunale avrebbe potuto considerare semmai per valutare l'inattendibilità delle accuse sollevate dalla persona offesa.

Non si può ledere il diritto di abitazione dello stalker

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La Cassazione con la sentenza n. 3240-2020 annulla l'ordinanza con rinvio per un nuovo esame, al fine d'imporre all'indagato precisi limiti e prescrizioni relativi al divieto di avvicinamento alla persona offesa.

Prima di tutto gli Ermellini rilevano l'impossibilità di procedere, in sede di legittimità, ad una nuova valutazione dei fatti e dell'attendibilità della persona offesa, il cui racconto è stato confermato da amici che lo andavano a trovare proprio perché impossibilitato e deambulare. Il fatto poi che la vittima sia stata ritenuta responsabile d'intemperanze nei confronti dell'indagato non rileva in questa sede.

Del tutto apodittica l'affermazione relativa all'assenza di uno stato d'ansia e al mutamento delle abitudini della vittima, stante la versione e concorde dei soggetti testimoni dei fatti, da cui risulta l'atteggiamento prevaricatore dell'indagato, che ha fatto ritenere necessaria l'adozione di misure cautelari.

Infondato è poi il motivo in base al quale non si possa applicare a un "indagato" una misura cautelare restrittiva come quella applicata. L'art 61 c.p.p estende infatti all'indagato diritti, garanzie e ogni altra disposizione relativa all'imputato, a meno che non sia diversamente disposto.

La Corte conviene invece con il difensore sulla questione della misura applicata, che riguarda un rapporto tra soggetti non conviventi. In effetti il Gip ben poteva ordinare all'indagato di non avvicinarsi all'abitazione della persona offesa, senza imporre una distanza di 50 metri, che in sostanza si traduce in un divieto di dimora, con conseguente violazione di un diritto fondamentale dell'indagato, consistente nell'uso della propria abitazione.

Dalla normativa emerge che il giudice nell'applicare una misura cautelare, deve salvaguardare, nel dargli esecuzione, i diritti della persona che vi è sottoposta. L'art 282 -ter cpp prevede inoltre che, quando a un soggetto è precluso un luogo determinato, costui deve avere comunque la possibilità di accedervi se sussistono ragioni abitative o di lavoro. L'applicazione della misura cautelare quindi non può far venir meno il diritto di dimora dell'indagato, essa deve piuttosto porre dei limiti precisi per evitare il contatto con la persona offesa. Da qui la necessità di procedere all'annullamento con rinvio dell'ordinanza per stabilire prescrizioni e limiti precisa da applicare all'indagato.

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