Per la Cassazione nei confronti del convivente more uxorio non trova applicazione la causa di esclusione della punibilità prevista per i reati contro il patrimonio a danno del coniuge e dei congiunti

di Lucia Izzo - Non si applica ai conviventi more uxorio la causa di esclusione della punibilità prevista dall'art. 649 c.p. nel caso di reati contro il patrimonio commessi ai danni di coniuge, parte dell'unione civile e prossimi congiunti. Non è infatti possibile una meccanica assimilabilità tra convivenza e rapporto di coniugio.


Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, V sezione penale, nella sentenza n. 37873/2019 (qui sotto allegata) respingendo il ricorso di una donna condannata a sei mesi di reclusione e 120 euro di multa, per il furto commesso nei confronti dell'ex convivente.

Il caso

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In particolare, l'imputata si era impossessata di monili e di un orologio d'oro che poi aveva venduto. In Cassazione, tra i motivi di impugnazione, emerge quello secondo cui anche al convivente more uxorio si sarebbe dovuta estendere la causa di non punibilità di cui all'art. 649 del codice penale.


Tale norma, si rammenta, afferma la non punibilità di colui chi ha commesso un reato contro il patrimonio in danno al coniuge (non legalmente separato), della parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso, nonché di una serie di congiunti.

Sottolineando come la convivenza con l'ex fosse stabile (durata per oltre sette anni) l'imputata richiama a sostegno della sua critica proprio la normativa introdotta dalla L. n. 76/2016 in tema di regolamentazione delle unioni civili

, che ha modificato l'art. 649 stabilendo che la causa di non punibilità si applichi anche in caso di fatti commessi in danno di persone delle stesso sesso, per unioni civili. Tale nuova disposizione, dunque, secondo la ricorrente renderebbe irragionevole l'esclusione della causa di non punibilità in caso di conviventi more uxorio.


La difesa, a sostegno della tesi, rileva come l'estensione della richiamata causa di non punibilità ai conviventi more uxorio risulterebbe in linea con il significato che la famiglia di fatto ha assunto, anche alla luce della legge Cirinnà. Sul punto si richiama anche il concetto di famiglia di fatto, come espresso dalla Corte di Strasburgo, quale formazione sociale, in riferimento alla Convenzione EDU, a prescindere dalla circostanza che il rapporto familiare sia sancito da accordo matrimoniale.

Causa di non punibilità e convivenza more uxorio: la giurisprudenza

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Ciononostante, gli Ermellini giudicano tale doglianza manifestamente infondata. È principio consolidato che la causa soggettiva di esclusione della punibilità prevista per il coniuge dall'art. 649 c.p. non si estende al convivente more uxorio (cfr. Cass. n. 28638/2015) e neppure, come affermato dalla Corte territoriale, rileva la recente modifica dell'art. 649 c.p. con l'introduzione del comma 1-bis che attiene esclusivamente alle unioni civili e non ai rapporti di mera convivenza.


Alcuni arresti della giurisprudenza di legittimità, tuttavia, hanno diversamente valutato l'ambito di operatività della causa di non punibilità di cui all'art. 649 c.p., in riferimento al soggetto che abbia commesso un reato di furto in danno del convivente more uxorio, ritenendo non punibile il furto commesso in danno del convivente more uxorio, e punibile, a querela dell'offeso, quello commesso in danno di persona già convivente more uxorio (cfr. Cass., n. 32190/2009).

Unione civile: l'equiparazione con il matrimonio per la legge penale

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Si tratta, comunque, di pronunce precedenti rispetto alla modifica legislativa introdotta proprio al fine di armonizzare specifici istituti con la nuova disciplina delle unioni civili. Il d.lgs. 6/2017, recante modificazioni e integrazioni normative in materia penale per il necessario coordinamento con la disciplina delle unioni civili, ha introdotto nel codice penale l'art. 574-ter.


Tale norma prevede che, agli effetti della legge penale, il termine matrimonio si intende riferito anche alla costituzione di un'unione civile tra persone dello stesso sesso. Parallelamente si è introdotto il citato comma 1-bis dell'art. 649, in base al quale la causa di non punibilità opera anche nei confronti di chi ha commesso alcuno dei fatti di cui al Titolo XIII, Libro II, in danno della parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso.


Tale duplice, contestuale, intervento, spiega la Corte, sembra rendere palese l'intento del legislatore di attribuire rilievo, ai fini dell'operatività della causa di esclusione della punibilità che interessa, all'esistenza di una convivenza qualificata, differenziandola rispetto a quella more uxorio, differenza significativa sulla quale, la Corte costituzionale si è già espressa, con ordinanza del 57/2018.

L'arresto della Corte Costituzionale

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Il giudice delle leggi ha dichiarato manifestamente inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 649, comma 1, c.p., censurato, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui, a seguito della novella apportata dal d.lgs. n. 6/2017, sancisce che la causa di non punibilità prevista per i delitti contro il patrimonio, operi anche a beneficio della parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso e non anche del convivente more uxorio.


La Consulta, investita sul punto anche in occasioni pregresse, ha sempre sottolineato la non meccanica assimilabilità tra la convivenza e il rapporto di coniugio, in quanto la prima risulta basata sulla quotidiana affectio, in qualsiasi momento revocabile e, dunque, non sempre dotata dei caratteri di certezza e di tendenziale stabilità, propri del vincolo coniugale, questi ultimi incontrovertibilmente e documentalmente riscontrabili in sede di risultanze anagrafiche, nel caso di unione qualificata.


Ancora, nel caso di specie, neppure è stata dimostrata con certezza la qualità della convivenza tra i predetti soggetti e nulla è emerso, dalle sentenze di merito, circa la stabilità della convivenza, al momento del fatto, peraltro tenendo conto della prossimità della data della sottrazione rispetto a quella indicata come di definitiva interruzione dei rapporti tra le parti.


Del resto si osserva che la dimostrazione della sussistenza dei presupposti di applicabilità dell'art. 649 c.p., derivanti dalla convivenza stabile, anche atipica, come dedotta nel ricorso (ove se ne assume la stabilità per un periodo di circa sette anni, rispetto al quale nulla emerge nella sentenza impugnata), era onere dell'imputato rimasto inadempiuto. Il ricorso va dunque rigettato.

Scarica pdf Cass., V pen., sent. n. 37873/2019

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