Cosa prevede il nuovo art. 857-bis introdotto nel codice penale dalla Legge n. 69/2019 (Codice Rosso) che punisce il reato di costrizione o induzione al matrimonio

di Lucia Izzo - Ad alcuni potrà sembrare strano o addirittura anacronistico che, ancora oggi, in Italia, si parli di "costrizione" o "induzione" al matrimonio. In realtà, non solo non è possibile trascurare l'argomento, ma è addirittura doveroso discuterne, anche e soprattutto nelle aule parlamentari.


Cos'è il matrimonio forzato o indotto

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Quando si parla di "matrimonio forzato", il riferimento va all'unione nella quale il consenso di una delle parti, lungi dall'essere libero e pieno, risulta estorto tramite varie forme di coercizione (minaccia, violenza, ecc.), che nel caso pratico risultano talvolta difficili da percepire in quanto, apparentemente, l'unione sembra fondata sulla libertà degli sposi (nonostante gli "accordi" presi dai genitori), mentre alla base vi sono pressioni non sempre fisiche, ma psicologiche.


Spesso, le "vittime" di matrimoni forzati sono minorenni, ed in questo caso appare evidente la costrizione o "forzatura", stante la mancanza della maturità necessaria. L'aver compiuto una certa età (in media 18 anni), è un presupposto che la legge di molti paesi impone per poter avvicinarsi in maniera consapevole al matrimonio (c.d. capacità matrimoniale), salva la presenza di deroghe previste dalle legislazioni internazionali (es. l'istituto dell'emancipazione in Italia).

In pochi sono stupiti dal fatto, ben noto, che la piaga dei matrimoni "forzati" o "concordati" sia alquanto diffusa in alcune regioni del mondo ancora "in via di sviluppo" (ad esempio Africa o Asia); in realtà, casi di matrimoni forzati si riscontrano anche in quei paesi considerati "progrediti", sia in Europa che oltreoceano. Statistiche alla mano, le vittime sono in particolar modo, ma non esclusivamente, giovani donne o bambine spesso provenienti da famiglie immigrate.

Un fenomeno "sepolto"

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Il fenomeno, tuttavia, tende a non emergere facilmente, stante la dimensione "domestica" e privata della vicenda, nonché l'assenza di denunce. Per questo, in Italia e in Europa una mappatura della dimensione del fenomeno è assai complessa e i casi, quasi sicuramente, sono ben più di quelli di cui si ha contezza.


In Italia, il Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza stima (un dato tuttavia fermo al 2007) che molti ragazzini e ragazzine, già a partire dai cinque anni, siano "oggetto" di veri e propri contratti da parte delle famiglie d'origine che, in cambio del loro matrimonio, ottengono addirittura dei soldi da parte dei futuri mariti o delle future mogli dei propri figli.


L'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, nel tentativo di contare i casi accertati, ovvero quelli nei quali c'è stata una denuncia e la relativa messa in sicurezza della vittima, parla di non meno di 150 casi ogni anno.

Il Codice Rosso e il nuovo reato di costrizione o induzione al matrimonio

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A colmare l'eccessivo vuoto in materia nel nostro ordinamento ci ha pensato di recente la Legge n. 69/2019, c.d. Codice Rosso. Il provvedimento, recante "Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere" è entrato in vigore lo scorso 9 agosto.


I parlamentari italiani, non senza passare attraverso una delicata fase di dibattito e discussione, hanno ritenuto opportuno introdurre nel codice penale una norma ad hoc: si tratta del nuovo art. 558-bis che, facendo seguito alla norma sull'"Induzione al matrimonio mediante inganno" (art. 558 c.p.) si occupa di delineare la fisionomia del reato di "Costrizione o induzione al matrimonio"

Le condotte punibili

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Nel dettaglio, la nuova fattispecie punisce una serie di condotte legate ai matrimoni "forzati". In primis, si rivolge nei confronti della "costrizione al matrimonio" vera e propria, punendo chiunque, con violenza o minaccia, costringe una persona a contrarre matrimonio o unione civile.


Il secondo comma, invece, sancisce la perseguibilità di chiunque, approfittando delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità di una persona, con abuso delle relazioni familiari, domestiche, lavorative o dell'autorità derivante dall'affidamento della persona per ragioni di cura, istruzione o educazione, vigilanza o custodia, la induca a contrarre matrimonio o unione civile.


Le modalità coercitive, dunque, non comprendono la sola violenza o minaccia, ma anche quegli abusi psicologici che "inducono" la vittima a contrarre un matrimonio/unione civile non voluta, attraverso l'utilizzo di mezzi meno diretti, ma ugualmente idonei a condizionarne la liberà di decisione.


La norma non dimentica, inoltre, che il fenomeno assume assai spesso una dimensione ultranazionale: per questo, quanto stabilito dall'art. 558-bis si applica anche quando il fatto è commesso all'estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia ovvero in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia.

Costrizione o induzione al matrimonio: fino a sette anni di reclusione

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Per quanto riguarda la sanzione, la pena base per chi si macchia del delitto di costrizione o induzione al matrimonio è fissata nella reclusione da uno e cinque anni.


La forbice sanzionatoria è destinata inevitabilmente a dilatarsi in presenza di una condotta che colpisce soggetti particolarmente vulnerabili. In primis, l'art. 587-bis precisa a chiare lettere che la pena è aumentata se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni diciotto.


Nel dettaglio, si rischia la reclusione da due a sette anni qualora i fatti siano commessi in danno di un minore di anni 14.



Foto: 123rf.com
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