Il caso del condomino condannato per il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni per aver rimosso una rampa di cemento per l'accesso al garage e la giurisprudenza della Cassazione in materia

di Annamaria Villafrate - Non è infrequente che la rabbia dei condomini si trasformi in un vero e proprio reato e porti alla condanna per esercizio arbitrario delle proprie ragioni di cui all'art 392 c.p. Interessante è il caso su cui si è pronunciato il Tribunale di Campobasso (vedi sentenza sotto allegata), che ha condannato un condomino per aver rimosso una rampa di cemento altrui perché gli impediva di accedere e uscire con i propri mezzi e perché, in caso di pioggia, convogliava la pioggia nella sua proprietà.

Sentenza che offre lo spunto per approfondire e analizzare, grazie ad importanti pronunce della Cassazione, gli elementi costitutivi di questo reato, commesso da chi crede di potersi fare giustizia da solo:

Condannato il condomino che rimuove una rampa di cemento altrui

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La recente sentenza del Tribunale di Campobasso offre lo spunto per trattare un reato che non raramente viene commesso dai condomini in danno di altri condomini o di terzi, ovvero l'illecito penale dell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni contemplato dall'art. 392 c.p.

L'articolo in questione, ai commi 1 e 2, prevede testualmente che: "1. Chiunque, al fine di esercitare un preteso diritto, potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo, mediante violenza sulle cose, è punito, a querela

della persona offesa con la multa fino a cinquecentosedici euro. 2. Agli effetti della legge penale, si ha violenza sulle cose allorché la cosa viene danneggiata o trasformata, o ne è mutata la destinazione."

Chiare quindi le ragioni per le quali il Tribunale molisano ha condannato un condomino per il reato di cui all'art 392 c.p, considerato che lo stesso: "personalmente, a bordo di un escavatore, rimuoveva una piccola rampa di cemento che permetteva l'accesso ai garage di proprietà del

sig. D.P.N. atteso che la stessa, fatta realizzare negli anni '90 dal padre dell'odierna parte civile, rendeva difficile l'entrata e l'uscita con gli automezzi alla proprietà del M. e, in caso di pioggia, convogliava l'acqua piovana in questa proprietà."

Come precisato nella motivazione infatti "Nel momento in cui il diritto viene esercitato in "autotutela", con violenza sulle cose o sulle persone, come nel caso di specie, il reato è perfettamente integrato (…) Nessun dubbio, inoltre può essere avanzato in merito al fatto che la condotta posta in essere dal M. sia stata violenta, atteso che per violenza deve intendersi qualsiasi danneggiamento trasformazione o mutamento di destinazione della cosa" così come la sussistenza dell'elemento psicologico "rappresentato dall'intento di esercitare un preteso diritto nel ragionevole convincimento della sua legittimità."

E' reato danneggiare la telecamera perché viola la privacy dei condomini

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La sentenza di merito si pone perfettamente in linea con quello che è l'indirizzo della Cassazione. La recente pronuncia n. 3785/2019 degli Ermellini ha dichiarato infatti inammissibile il ricorso di un imputato, condannato per il reato di cui all'art. 392 c.p. Dagli atti del processo è emersa la sussistenza degli elementi costitutivi oggettivi e soggettivi del reato poiché il condomino "che in precedenza aveva ripetutamente ma infruttuosamente chiesto ai titolari di quel negozio di spostare la telecamera che, a suo dire, violava la privacy dei condomini, aveva divelto con il bastone e danneggiato l'apparecchio video, così tutelando arbitrariamente le proprie private ragioni."

In questo caso come in quello trattato dal tribunale di Campobasso il soggetto ha agito nella convinzione che fosse suo diritto tutelare la privacy del condominio, anche se, è noto che le cose non stanno proprio così, vediamo perché.

L'esercizio del diritto non scrimina perché è elemento del reato

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Da segnalare infatti come la Cassazione, nella sentenza n. 53826/2017 precisa che "In tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, non è applicabile la scriminante dell'esercizio del diritto in quanto la convinzione di esercitarlo costituisce essa stessa elemento costitutivo del delitto." Come precisato del resto nella sentenza del tribunale molisano, che richiama a tal proposito la sentenza n. 46288/2016 "Per costante giurisprudenza della Suprema Corte, in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ai fini della configurabilità del reato, occorre che l'autore agisca nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale, anche se detto diritto non sia realmente esistente; tale pretesa, inoltre, deve corrispondere perfettamente all'oggetto della tutela apprestata in concreto dall'ordinamento giuridico, e non mirare ad ottenere un qualsiasi "quid pluris", atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall'agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato."

Per la configurazione del reato occorre la violenza sulla cosa

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Come già visto inoltre, l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni si configura mediante violenza sulle cose. Proprio in merito alla violenza sulle cose prevista e disciplinata dall'art 392 c.p la recente Cassazione n. 27651/2019 ha chiarito in relazione alla previsione del comma 2 che: "Deve rammentarsi che per il secondo comma dell'art. 392 cod. pen. si ha "violenza sulle cose" allorché la cosa venga danneggiata, trasformata ovvero ne venga mutata la destinazione. Ed, infatti, secondo il consolidato orientamento della Corte di legittimità, sussiste l'aggravante speciale di cui si tratta tutte le volte in cui il soggetto, per commettere il fatto, faccia uso di energia fisica, provocando la rottura, il guasto, il danneggiamento, la trasformazione della cosa altrui o determinandone il mutamento della destinazione (Sez. 5, n. 24029 del 14 maggio 2010)."

Eccezione alla regola se non c'è tempo per adire il giudice

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A questa regola tuttavia c'è un'eccezione, così come esplicitato chiaramente la sentenza n. 53826/2017 della Cassazione che prevede espressamente come in materia viga in deroga il principio: "vim vi repellere licet", che rende non punibile l'autore della violenza sempre che - e solo in siffatta eventualità - tra l'azione perturbatrice e quella contraria dell'agente non si sia frapposto alcun lasso di tempo sufficiente per adire il giudice ed ottenere un provvedimento idoneo ad evitare il prodursi di una situazione di danno, poiché in tal caso si è in presenza di un principio generale di antica tradizione, che funge da limite della norma penale poiché esclude la presenza del requisito costitutivo dell'arbitrarietà della condotta del soggetto agente, consentendo ... la difesa del possesso (violenza manutentiva) o l'autoreintegrazione di esso (violenza reintegrativa), in ipotesi di spoglio violento ad opera di terzi."

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Scarica pdf Tribunale di Campobasso sentenza del 12-4-2019

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