Nel corso degli anni, gli animali si sono ritagliati uno spazio di autonoma tutela e protezione da parte della legge e della giurisprudenza che, tuttavia, sottolinea le distinzioni con quelli "quasi umani" o antropizzati

di Lucia Izzo - Negli ultimi anni si è assistito a una sempre maggior attenzione, da parte della legge e della giurisprudenza, nei confronti dei diritti degli animali.


Ciò non si rintraccia solo nelle proposte di legge, ma anche nelle pronunce dei giudici che sempre più spesso prendono le difese degli amici a quattro zampe contro i maltrattamenti messi in atto dagli esseri umani. Una spinta che giunge anche da oltre i confini nazionali, a conferma dell'importanza della materia e delle convivenza tra uomo e animali.


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Anche il Consiglio d'Europa, infatti, si è dimostrato attento alla protezione degli animali siglando numerose Convenzioni per la loro tutela e, con il Trattato di Lisbona, l'Unione Europea ha, altresì, riconosciuto la natura degli animali quali esseri senzienti.

Principi che hanno ispirato anche la Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, firmata a Strasburgo il 13 novembre 1987, ratificata dall'Italia con la legge 201 del 2010.

Animali da tutelare in quanto esseri viventi e senzienti

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A questo si è giunti in seguito a un percorso particolarmente articolato. Certo, la convivenza con gli animali ha origini antichissime, ma in passato la loro tutela passava principalmente attraverso i diritti su di essi vantati dall'uomo, per lo più aventi valenza patrimoniale, posto che i quadrupedi garantivano al padrone un' utilità economica (animali da allevamento, greggi, ecc.).

Una concezione mutata nel corso degli anni, a vantaggio dell'emersione di un valore "affettivo" dell'animale, seppur sempre correlato alla figura dell'uomo, poiché a venire in rilievo è stata un'esigenza di protezione del sentimento di pietà e affezione.

Il passaggio maggiormente innovativo, complice la mutata sensibilità sociale, è stato il progressivo abbandono dell'uomo come centro di riferimento da parte dell'ordinamento, che ha riconosciuto una autonoma protezione agli animali, al loro benessere e alla loro salute psico fisica, senza che la pietà degli esseri umani facesse più necessariamente da mediatore.

In sostanza, il diritto è giunto a perseguire non solo quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali per la loro manifesta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psico-fisica dell'animale, procurandogli dolore e afflizione (cfr. Cass., n. 46560/2015).

La stessa giurisprudenza ha valorizzato sempre più gli animali in quanto esseri viventi e senzienti, ma indubbiamente non si è giunti allo stesso livello di protezione riconosciuto agli esseri umani: le pene per l'omicidio sono assai più gravi rispetto a quelle previste per l'uccisione degli animali e l'omicidio colposo è sempre sanzionato (salvo la legittima difesa), mentre il codice penale punisce il maltrattamento o l'uccisione degli animali solo in presenza di crudeltà o in mancanza di necessità.

Animali "antropizzati" maggiormente tutelati

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Se questo non sorprende, quello che invece emerge è che tra gli animali stessi vi sia una sorta di "distinzione" in quanto a tutela, che risulta maggiore nei confronti di quegli animali c.d. antropizzati, ovvero quelli "quasi umani". Si tratta degli animali da compagnia o da affezione, che condividono con l'uomo spazi familiari spesso in forte simbiosi, cani e gatti in prima linea.

A dimostrarlo, sono le parole utilizzate dalla Cassazione in una recente sentenza (n. 16755/2019) inerente una vicenda di maltrattamenti nei confronti di 41 cani, trasportati in un furgone in cui erano stipati senz'aria e senza senza possibilità di difesa dalle stesse proprie deiezioni, finché il loro viaggio non era stato interrotto dagli agenti della polizia stradale.

Nel provvedimento, gli Ermellini hanno osservato che, in tema di delitti contro il sentimento per gli animali, le nuove fattispecie di uccisione e maltrattamento di animali, ex artt. 544-bis e 544-ter c.p., si differenziano dalla fattispecie di uccisione o danneggiamento di animali altrui di cui all'art. 638 c.p., sia per la diversità del bene oggetto di tutela penale (proprietà privata nell'art. 638 c.p. e sentimento per gli animali nelle nuove fattispecie), sia per la diversità dell'elemento soggettivo.

In sostanza, il bene offeso è rappresentato dalla pietas nei riguardi degli animali, ossia da quel sentimento umano che induce alla ribellione nei confronti di coloro che incrudeliscono ovvero infliggono inutili sofferenze. E ciò, spiega la Corte, vale "tanto più nei confronti dell'animale antropizzato per eccellenza come il cane".

Le parole della Suprema Corte, dunque, sembrano avvalorare la presenza di una maggiore empatia nei confronti degli animali che hanno stretto un legame particolarmente intimo con l'essere umano, al punto da risultare "quasi umani" e preziosi e inseparabili compagni della propria esistenza. Una sorta di categoria "intermedia" che condivide con l'uomo anche sentimenti e tutele giuridiche, anche penali, che in passato erano riservate ai soli esseri umani.


Foto: 123rf.com
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