Per la Cassazione, in un clima di prevaricazione e maltrattamenti il fatto che la moglie accetti i rapporti con il marito non fa venire meno il reato di violenza sessuale

di Annamaria Villafrate - La Cassazione nella sentenza n. 17676/2019 (sotto allegata) dichiara inammissibile il ricorso di un ex marito condannato per i reati di maltrattamenti e violenza sessuale nei confronti della moglie. La Corte precisa infatti che in un clima familiare caratterizzato dalla prevaricazione del marito nei confronti della moglie non è pensabile che il consenso della donna ad avere rapporti sessuali sia frutto di una libera "autodeterminazione". Ragione per la quale deve essere confermata la condanna per il reato di violenza sessuale.

La vicenda processuale

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La Corte d'appello conferma la sentenza di primo grado contenente la condanna dell'imputato per i reati di cui agli artt. 572 c.p. (maltrattamenti contro familiari o conviventi) e 609 bis (violenza sessuale) nei confronti della moglie convivente.

Ricorre in Cassazione il marito adducendo "l'illogicità della sentenza

impugnata che dopo aver dato atto di un clima estremamente conflittuale all'interno della coppia, dovuto per lo più all'abuso di alcool da parte dell'imputato e a motivazioni di ordine economiche avendo costui perso il lavoro, conclude apoditticamente ritenendo sussistente il reato di maltrattamenti." Per il marito, poiché il rapporto era estremamente conflittuale, tanto da addivenire a una separazione giudiziale, nessuna condotta di prevaricazione di fatto gli era attribuibile, né dal punto di vista della condotta che dell'elemento psicologico, non essendo affatto presente la volontà di umiliare consapevolmente la moglie.

Egli contesta altresì la condanna per violenza sessuale, stante l'assenza di consapevolezza del dissenso della moglie ad intrattenere con lui rapporti sessuali. L'ex marito rileva infatti la condotta ambigua della moglie, che mai ha dichiarato di aver subito violenze sessuali, ammettendo al contrario di essere stata accondiscendente alle sue richieste.

La conflittualità del rapporto non fa venir meno la prevaricazione

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La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso dell'imputato nella sentenza n. 17676/2019.Per comprendere la motivazione del provvedimento relativamente al reato di violenza sessuale occorre premettere che, in relazione al reato di maltrattamenti gli Ermellini precisano che: "Non basta evocare il clima di aperta conflittualità all'interno della coppia per elidere la connotazione molesta e persecutoria della condotta tipica che presuppone una chiara prevaricazione posta in essere dall'aggressore nei confronti della vittima all'interno del consesso familiare, che proprio perché sistematica, da qui l'abitualità richiesta dalla norma incriminatrice, va a ledere l'integrità psichica, prima ancora che fisica, del soggetto passivo, traducendosi in un sistema di vita che, in ragione delle continue umiliazioni, violenze, atti offensivi della dignità e della libertà della persona e del clima di paura conseguentemente instauratosi, rende dolorosa la stessa relazione familiare."

Violenza sessuale se la moglie si sente costretta ad avere rapporti

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Stesse considerazioni per le contestazioni relative al reato di violenza sessuale. Per la Cassazione infatti il reato di violenza sessuale richiede la costrizione della vittima, che sussiste in presenza di qualsiasi forma di costringimento sia fisico che psichico capace d'incidere sull'altrui libertà di autodeterminarsi. Condotta che si configura anche attraverso l'intimidazione psicologica capace di provocare la coazione della vittima a subire atti sessuali, senza che rilevi il rapporto coniugale esistente con l'imputato. Questo perché all'interno di una relazione matrimoniale o di convivenza non è contemplato un diritto ad avere rapporti sessuali, né tanto meno la pretesa di imporlo o di esigerlo senza il consenso dell'altro.

Il concetto d'intimidazione rimanda a una compressione della volontà e della capacità di reazione della vittima. Nel caso di specie è irrilevante che la moglie acconsentisse ai rapporti sessuali con il marito. Il clima perdurante di sopraffazione dell'imputato sulla moglie infatti fanno ribadire alla Corte che "ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale, non ha valore scriminante il fatto che la donna non si opponga palesemente ai rapporti sessuali e li subisca quando è provato che l'autore, per le violenze e le minacce precedenti poste ripetutamente in essere nei confronti della vittima, aveva la consapevolezza del rifiuto implicito della stessa agli atti sessuali.

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