La Cassazione rammenta che la sede di un istituto scolastico non è riconducibile alla nozione di privata dimora, dunque le intercettazioni rispettano i limiti di cui all'art. 266 c.p.p.

di Lucia Izzo - È consentito l'utilizzo delle intercettazioni audio-video eseguite presso l'istituto di istruzione ai fini della dimostrazione della responsabilità penale dell'insegnante per maltrattamenti ai danni di minori. Non sussiste alcuna violazione di domicilio in quanto la scuola non si considera un luogo di privata dimora.


Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sesta sezione penale, nella sentenza 14150/2019 (qui sotto allegata) pronunciandosi sul ricorso di una donna alla quale il G.I.P. aveva applicato la misura degli arresti domiciliari per aver concorso, anche mediante omissione, nel reato di maltrattamenti ai danni dei minori della scuola materna per l'infanzia ove la stessa svolgeva le funzioni di insegnante.


In sede di riesame, la misura era stata sostituita con quella del divieto di esercitare la professione di insegnante e di educatore per un periodo di dodici mesi.

Il caso

Entrambi i giudici della fase cautelare ritenevano sussistente la gravità indiziaria dell'indicato delitto con riguardo a una serie di episodi di maltrattamenti perpetrati da quattro insegnanti, due titolari e due supplenti, della scuola materna in danno di alcuni bambini di età compresa tra tre e quattro anni loro affidati.


Gli illeciti erano stati svelati a seguito di indagini avviate dopo la denuncia della madre di uno dei piccoli, arricchite delle dichiarazioni di altri genitori e dalle intercettazioni audio-video operate presso la struttura educativa.


Elementi da cui era emerso il clima di tensione emotiva sistematicamente instaurato all'interno della scuola, connotato da urla, reazioni esagerate aventi ad oggetto la punizione e la correzione degli alunni, nonché episodi di compressione della libertà di locomozione, caratterizzati non da comportamenti isolati, ma da condotte ripetute nel tempo nei confronti di una pluralità di minori affidati alle cure delle insegnanti.


Condotte che hanno costituito risposte certamente sproporzionate rispetto alle cause e alle finalitàperseguite.

In particolare, le condotte delineate nei resoconti dei genitori e quelle estrapolate dei video avevano descritto dettagliatamente, secondo il Tribunale del riesame, l'utilizzo in funzione educativa da parte delle maestre di metodi di natura fisica, psicologica e morale lesivi della dignità dell'alunno e umilianti per le modalità di esecuzione che trasmodano dal contesto di una risposta educativa dell'istituzione scolastica proporzionata alla gravità del comportamento deviante dell'alunno.

Scuola non è privata dimora: intercettazioni utilizzabili

In Cassazione, l'insegnante chiede l'annullamento dell'ordinanza impugnata, contestando, tra l'altro, l'utilizzabilità delle intercettazioni che, pur autorizzate, ritiene effettuate in un luogo di privata dimora, tale dovendosi qualificare la struttura scolastica, e perciò in violazione di legge.


Doglianza che gli Ermellini bollano come inammissibili. Conformemente ai principi espressi dalle Sezioni Unite (sent. n. 31345/2017), la giurisprudenza di legittimità ha affermato, proprio con riguardo agli istituti scolastici di istruzione, che la sede di un istituto scolastico "non è riconducibile alla nozione di privata dimora, nell'ambito della quale rientrano esclusivamente i luoghi non aperti al pubblico, né accessibili a terzi senza il consenso del titolare e nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata" (cfr. sent. n. 10498/2018). Di conseguenza, non può configurarsi il reato di violazione di domicilio.


Come correttamente rilevato dal Tribunale, il provvedimento autorizzativo posto a fondamento delle attività di intercettazione audio e video eseguite presso l'istituto di istruzione ove si sono svolti fatti è rispettoso dei limiti stabiliti dall'articolo 266 c.p.p. perché, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, non trattandosi di una privata dimora, non ricorre l'ipotesi prevista dal comma 2 del citato articolo.


Scarica pdf Cass., VI pen., sent. 14150/2019

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