Per la Suprema Corte rileva l'invasione nella sfera intima della vittima e la valenza sessuale del contatto corporeo. Irrilevante la sua brevità o la mancata soddisfazione erotica dell'aggressore

di Lucia Izzo - Non è un semplice tentativo, ma una violenza sessuale consumata quella perpetrata ai danni della vittima anche senza penetrazione qualora l'agente raggiunga le parti intime della vittima o provochi comunque un contatto con i propri genitali.

Essendovi un'evidente e concreta invasione della sfera di intimità della vittima, risulta pertanto indifferente il fatto che il contatto corporeo sia stato di breve durata, che la vittima sia riuscita a sottrarsi all'aggressore o che questi sia riuscito o meno raggiungere la sua soddisfazione erotica.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, terza sezione penale, nella sentenza n. 57515/2018 (qui sotto allegata) dichiarando inammissibile il ricorso dell'imputato condannato per il reato di cui all'art. 609-bis del codice penale.

Il caso

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L'uomo, compagno della nonna della vittima, all'epoca dei fatti minorenne, aveva ripetutamente costretto la ragazza a subire atti sessuali nel corso degli anni intimandole di non rivelare ad alcuno quanto accadeva.


In Cassazione, l'imputato tenta di minimizzare l'accaduto evidenziando che taluni fatti erano privi di connotazione sessuale e che, in relazione a un episodio, vi sarebbe stata una violenza tentata e non consumata non essendovi stato alcun contatto con le zone intime della persona offesa, né tra quest'ultima e le parti intime dell'imputato.


Una conclusione respinta con rigore dai giudici della suprema Corte che sottolineano come le due conformi sentenze di merito, le cui argomentazioni sono destinate a integrarsi per formare un apparato motivazionale unitario, hanno sottolineato come l'uomo avesse agito in un crescendo di abusi e violazioni della libertà sessuale della persona offesa e come ogni episodio si collocasse all'interno di un più ampio percorso di progressiva frustrazione della sua capacità di autodeterminazione.

Violenza sessuale consumata anche senza penetrazione

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Per gli Ermellini, l'episodio a cui si è riferito l'imputato è stato correttamente qualificato in termini di delitto consumato e non di tentativo: l'uomo, infatti, aveva immobilizzato la vittima e cercato di penetrarla, senza riuscirci a causa di un calcio sferrato dalla giovane, salvo poi desistere perché spaventato da un messaggio vocale partito dal cellulare dalla ragazza.

Tale condotta legittimamente è stata ritenuta idonea a integrare il reato previsto dall'art. 609-bis nella forma consumata, dovendosi all'uopo ribadire che in tema di violenza sessuale, è configurabile il tentativo del reato nelle sole ipotesi in cui la condotta violenta o minacciosa non abbia determinato un'immediata e concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima (cfr. Cass. n. 17414/2016).


Si realizza, invece, l'intromissione sessuale rilevante ai fini della consumazione del reato quando l'agente raggiunge le parti intime della vittima (genitali o erogene) o comunque provoca un contatto di quest'ultima con i propri organi genitali, essendo indifferente in tal caso che il contatto corporeo sia di breve durata, che la vittima sia riuscita a sottrarsi all'azione dell'aggressore o che quest'ultimo sia riuscito o meno raggiungere la sua soddisfazione erotica.

Il discrimine tra violenza sessuale tentata e consumata

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La stessa Cassazione ha di recente precisato (cfr. sent. n. 38926/2018) che, in tema di atti sessuali, il fatto rimane confinato nell'area del tentativo solo laddove la materialità degli atti non sia pervenuta sino al contatto fisico dell'agente con il corpo della vittima, ovvero da parte della stessa vittima con il proprio corpo.


Con l'ulteriore precisazione che l'elemento oggettivo del reato previsto dall'art. 609-bis c.p. sussiste anche nel caso in cui il distretto corporeo della vittima attinto dall'agente sia sessualmente indifferente, ma a condizione che la porzione del corpo che l'agente pone a contatto con quello della vittima sia connotata da valenza sessuale, cioè sia in grado di stimolare l'eccitazione dell'istinto sessuale dell'autore del comportamento illecito.


In quest'ottica, l'accertamento del discrimine tra fattispecie tentata e consumata non può che scaturire da una valutazione riferita non solo alle parti anatomiche attinte, ma all'intero contesto in cui si è dispiegata la relazione intersoggettiva tra agente e vittima e al livello di intrusione della sfera sessuale di quest'ultima.


Nel caso di specie, come puntualmente rilevato dalla Corte di appello, la condotta violenta ha determinato un'evidente e concreta invasione della sfera intima della minore, costretta a subire i toccamenti lascivi dell'imputato, nel frattempo denudatosi, e il contatto ravvicinato con i suoi organi genitali, a nulla rilevando la brevità della relazione corporea tra agente e vittima (che comunque vi è stata) e la mancata penetrazione e soddisfazione erotica dell'aggressore impedita solo dalla reazione disperata della vittima e dal timore dell'imputato di essere scoperto.

Scarica pdf Cass., III pen., sent. n. 57515/2018

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