La menzione dei provvedimenti sulla messa alla prova nel casellario e certificati richiesti dai privati ostacola il reinserimento dell'imputato

di Annamaria Villafrate - Con la sentenza n. 231/2018 (sotto allegata) la Consulta dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 24, comma 1, e 25, comma 1, del dP.R n. 313/2002, contenete il T.U sul casellario giudiziale, nella parte in cui tali articoli non prevedono che nel certificato generale e in quello penale richiesto dall'interessato non siano riportate le iscrizioni dei provvedimenti relativi alla messa alla prova (ordinanza di sospensione del processo e sentenza di estinzione del reato). Tale menzione, secondo la Consulta, ostacola il reinserimento dell'imputato, contravvenendo così alla finalità rieducativa dell'istituto.


Messa alla prova e casellario giudiziale

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La Corte Costituzionale si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale

degli artt. 24 e 25 del dP.R n. 313 del 14 novembre 2002, noto come Testo Unico Casellario Giudiziale, "nella parte in cui non prevedono che nel certificato generale e nel certificato penale del casellario giudiziale chiesti dall'interessato non siano riportate le ordinanze di sospensione del processo emesse ai sensi dell'art. 464-quater del codice di procedura penale e le sentenze di estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova
, ex art. 464-septies cod. proc. Pen." Nel ricorso si contesta in sostanza la menzione, nel casellario giudiziale e nel certificato penale rilasciato su richiesta dell'interessato, dei provvedimenti relativi messa alla prova.

Nel casellario i provvedimenti di messa alla prova non devono comparire

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Nell'accogliere il ricorso, la Consulta non fa che anticipare il contenuto del dlgs. n. 122/2018, che entrerà in vigore a fine ottobre 2019. La Corte infatti riporta che "nella relazione illustrativa al dlgs. n. 122 del 2018, in riferimento ai due menzionati provvedimenti sulla messa alla prova" si legge "che la decisione - di razionalizzare il sistema delle iscrizioni e dell'oscuramento parziale di tali indicazioni nelle certificazioni rilasciate su richiesta dell'interessato - è stata ispirata proprio dall'esigenza di superare le - irragionevoli disparità di trattamento e la violazione del principio rieducativo della pena già denunciate da più autorità giurisdizionali alla Corte costituzionale."

La Corte, in linea con le novità legislative menzionate, ritiene infatti che l'inserimento dei provvedimenti sulla messa alla prova nei certificati del casellario sia pregiudizievole per i soggetti che beneficiano di queste misure. Tanto il patteggiamento quanto la messa alla prova costituiscono "procedimenti diretti ad assicurare all'imputato un trattamento più vantaggioso di quello del rito ordinario". Perché allora nel caso del patteggiamento è prevista la non menzione nel casellario, mentre per chi affronta un percorso di messa alla prova che comporta "l'adempimento di una serie di obblighi risarcitori e riparatori in favore della persona offesa e della collettività, per effetto di una scelta volontaria" tale beneficio non dovrebbe essere contemplato? "Inoltre, mentre per la generalità dei casi esiste la possibilità di beneficiare della non menzione della condanna nei certificati qualora si sia ottenuta la riabilitazione (art. 24, comma 1, lettera d e art. 25, comma 1, lettera d, del TU casellario giudiziale), nel caso dei provvedimenti relativi alla messa alla prova la riabilitazione è per definizione esclusa, non trattandosi di condanne. Il che costituisce un ulteriore profilo di irragionevolezza ingenerato dalla disciplina censurata."

La menzione nel casellario ostacola il reinserimento

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Secondo la Consulta l'istituto della messa alla prova, come altri previsti dall'ordinamento, ha prima di tutto una finalità rieducativa, obiettivo che, a causa della menzione sul certificato penale, rischia però di essere compromessa. La menzione dei provvedimenti di messa alla prova nei certificati rilasciati a richiesta dei privati infatti rischia di rappresentare un ostacolo al reinserimento lavorativo e sociale del soggetto, anche se ha ottenuto e concluso positivamente tale percorso.

"D'altra parte, una volta che il processo si sia concluso con l'estinzione del reato per effetto dell'esito positivo della messa alla prova, la menzione della vicenda processuale ormai definita contrasterebbe con la ratio della stessa dichiarazione di estinzione del reato, che comporta normalmente l'esclusione di ogni effetto pregiudizievole - anche in termini reputazionali - a carico di colui al quale il fatto di reato sia stato in precedenza ascritto."


Scarica pdf sentenza Corte Costituzionale n. 231/2018

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