Per il Consiglio Nazionale Forense è vietato all'abogado utilizzare abbreviazioni equivoche che ingenerano confusione sul titolo professionale posseduto

di Lucia Izzo - Costituisce illecito disciplinare il comportamento dell'abogado che, nella propria corrispondenza anche informativa, usi come titolo professionale l'abbreviazione "Av.", anziché il titolo professionale nella lingua dello Stato membro di provenienza (art. 7 D.Lgs. n. 96/2001), così ingenerando confusione con il titolo professionale dello Stato membro ospitante.


Lo ha chiarito il Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 104/2018 (qui sotto allegata) respingendo il ricorso di due "abogados", entrambi iscritti nella sezione speciale di cui al d.Lgs 2/2/2001 n. 96 all'albo degli avvocati.


I due erano stati sospesi dall'attività professionale per due mesi per aver, tra l'altro, fatto sistematicamente uso del titolo di "av.", in violazione dell'art. 7, comma 1, del d. lgs. n. 96 del 2001, a norma del quale l'avvocato stabilito è tenuto a fare uso del titolo d'origine indicato per intero, in modo comprensibile e tale da evitare confusione con il titolo di avvocato.

Indebito utilizzare il titolo di avvocato anzichè di "abogado"

Per il CNF l'indicazione del titolo con un'unica "v" è funzionalmente volta a millantare un diritto che non compete, è volutamente confusorio e lo è ancor più inammissibilmente nei confronti di chi non sia in possesso degli strumenti (la conoscenza dell'ordinamento professionale) idonei a decriptare il messaggio e a capire la rilevante differenza fatta da una semplice lettera.

L'intento confusorio e decettivo volto a millantare un titolo abilitativo non spettante e una piena professionalità nei confronti di una "utenza" non particolarmente avveduta, è quindi di assoluta evidenza.

Non a caso, l'art. 7 del d.lgs. n. 96/2001 prevede che l'avvocato stabilito "è tenuto a far uso del titolo professionale di origine indicato per intero ... e tale da evitare confusione con il titolo di avvocato".

Abogados: illecito non indicare il titolo per intero

Nel caso di specie appare significativo il fatto che entrambi gli incolpati esibiscano il titolo di "abogado" per esteso nella loro carta intestata utilizzata per la corrispondenza con il C.O.A. e con i colleghi avvocati, avvalendosi altrove di diversa carta intestata dove il titolo è indicato nella sua erronea abbreviazione.

Inoltre, secondo il CNF la commissione dell'illecito è dimostrata anche dalle locandine reclamizzanti convegni con la partecipazione, in qualità di esperto, di uno dei due che compare con il titolo di avvocato o di esperto in materia bancaria.

Per i giudici, sicuramente titolo e competenze non erano stato frutto di autonoma iniziativa dell'ente organizzatore e, in ogni caso, incombeva all'interessato impedire che avvenisse un'esposizione di titolo (e specializzazione) non spettante.

Tali condotte costituiscono anche la prova, da un lato, del raggiungimento del risultato che ci si prefiggeva con l'indicazione del titolo "abbreviato" e, dall'altro, dell'utilizzo di un titolo non spettante.

Per i giudici, la voluta errata indicazione del titolo si colloca nel contesto di un sistema organizzato anche attraverso l'uso di strumenti societari per acquisire clientela, vincolandola ad obblighi contrattuali apparentemente a carattere commerciale ma finalizzati a procacciare pratiche legali. Ciò viola apertamente quanto stabilito dall'art. 37 dell'attuale Codice Deontologico.

Consiglio Nazionale Forense, sent. n. 104/2018

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