di Lucia Izzo - Deve essere sempre garantito al contribuente il diritto a opporsi a un pignoramento che gli viene intimato dal Fisco e derivante da una cartella di pagamento.
Va dunque ritenuta costituzionalmente illegittima la disposizione che non ammette nelle controversie riguardanti atti dell'esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all'avviso di intimazione, le opposizioni regolate dall'art. 615 c.p.c. in occasione delle esecuzioni ordinarie.
Lo ha stabilito la Corte Costituzionale nella sentenza n. 114/2018 (sotto allegata) accogliendo la questione sollevata dal Tribunali di Trieste riguardante la legittimità costituzionale dell'art. 57, comma 1, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), come sostituito dall'art. 16 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell'articolo 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337).
La norma in questione, infatti, stabilisce che: "Non sono ammesse: a) le opposizioni regolate dall'articolo 615 del codice di procedura civile, fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni; b) le opposizioni regolate dall'articolo 617 del codice di procedura civile relative alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo".
Per il giudice rimettente, tuttavia, nella parte in cui prevede l'inammissibilità di tali opposizioni, costringe "il contribuente a subire in ogni caso l'esecuzione, ancorché ingiusta; con la sola possibilità di presentare ex post una richiesta di rimborso di quanto ingiustamente precetto dalla pubblica amministrazione, o suo concessionario per la riscossione, ovvero di agire per il risarcimento del danno".
Riscossione coattiva: maggior tutela al contribuente
La Consulta analizza e prende atto della modifica del quadro normativo a seguito della nuova disciplina del contenzioso tributario (d.lgs. n. 546 del 1992) e della riscossione mediante ruolo (d.lgs. n. 46 del 1999), estesa a tutte le entrate dello Stato, anche diverse dalle imposte sui redditi, e di quelle degli altri enti pubblici. Si rileva la maggior tutela ottenuta dal contribuente assoggettato a esecuzione coattiva, seppur con una circoscritta carenza.
Infatti, in primis, quanto alla riscossione coattiva è fissato uno specifico criterio di riparto della giurisdizione tra giudice tributario e giudice (ordinario) dell'esecuzione e tracciata una linea di demarcazione della giurisdizione, posta dalla cartella di pagamento e dall'eventuale successivo avviso recante l'intimazione ad adempiere.
Fino a questo limite la cognizione degli atti dell'amministrazione, espressione del potere di imposizione fiscale, è devoluta alla giurisdizione del giudice tributario, mentre, a valle, la giurisdizione spetta al giudice ordinario e segnatamente al giudice dell'esecuzione.
Tuttavia, spiega la Corte, la sommatoria della tutela innanzi al giudice tributario e di quella innanzi al giudice (ordinario) dell'esecuzione deve realizzare per il contribuente una garanzia giurisdizionale a tutto tondo: in ogni caso deve esserci una risposta di giustizia perché siano rispettati gli artt. 24 e 113 Cost
In questo riformato contesto normativo l'opposizione all'esecuzione o quella agli atti esecutivi nel procedimento di riscossione coattiva è disciplinata dal censurato art. 57, nella formulazione sostituita dal d.lgs. n. 46/1999.
In vero, rileva la Consulta, l'apertura alle opposizioni agli atti esecutivi (quelle relative alla regolarità formale degli atti della procedura di riscossione) è in realtà piena nel senso che sono tutte ammesse con la sola eccezione delle opposizioni che riguardano la regolarità formale e la notificazione del titolo esecutivo.
Secondo i giudici, tuttavia, questa non appare come una deroga limitativa della tutela giurisdizionale perché queste ultime opposizioni sono attratte alla giurisdizione del giudice tributario e dunque la tutela del contribuente c'è in ogni caso, "senza che le regole di riparto della giurisdizione possano significare alcuna soluzione di continuità della garanzia giurisdizionale nel rispetto dei parametri evocati dal giudice rimettente (artt. 24 e 113 Cost.)".
Non si registra, in sostanza, alcun vuoto di tutela essendovi sempre un giudice chiamato a pronunciarsi in ordine alle doglianze della parte assoggettata a riscossione esattoriale.
Opposizione all'esecuzione: sempre possibile per il contribuente
Il Collegio ritiene, tuttavia, che non possa giungersi a conclusione analoga per quanto riguarda le opposizioni all'esecuzione, ovvero quelle che vedono il contribuente contestare il diritto dell'agente della riscossione a procedere ad esecuzione forzata in cui sussiste la giurisdizione del giudice ordinario, essendo già intervenuto quello tributario oppure essendo la questione rimessa ai tribunali civili
L'art. 57, infatti, ammette solo le opposizioni che attengono alla pignorabilità dei beni, ma esclude tutte le altre ed è su questa testuale esclusione che trovano ragione le censure di illegittimità costituzionale mosse dal giudice rimettente.
Nonostante i crediti tributari abbiano una marcata peculiarità, questa non è tale da giustificare che, nelle ipotesi in cui il contribuente contesti il diritto di procedere a riscossione coattiva e sussista la giurisdizione del giudice ordinario, non vi sia una risposta di giustizia se non dopo la chiusura della procedura di riscossione ed in termini meramente risarcitori.
Il differimento della tutela giurisdizionale solo dopo l'adempimento dell'obbligazione tributaria realizzerebbe il c.d. "solve et repete" che la Corte Costituzionale ha già dichiarato illegittimo in passato (sentenze n. 45 del 1962 e n. 21 e n. 79 del 1961).
Per i giudici, la possibilità di attivare il sindacato del giudice su atti immediatamente lesivi appartiene al diritto, inviolabile e quindi fondamentale, di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi (art. 24 Cost.), senza che contro gli atti della pubblica amministrazione la tutela giurisdizionale possa essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti (art. 113 Cost.).
In conclusione, quindi, "laddove la censura della parte assoggettata a riscossione esattoriale non radichi una controversia devoluta alla giurisdizione del giudice tributario, e quindi sussista la giurisdizione del giudice ordinario, l'impossibilità di far valere innanzi al giudice dell'esecuzione l'illegittimità della riscossione mediante opposizione all'esecuzione, essendo ammessa soltanto l'opposizione con cui il contribuente contesti la mera regolarità formale del titolo esecutivo o degli atti della procedura e non anche quella con cui egli contesti il diritto di procedere alla riscossione, confligge frontalmente" con i diritti espressi nella Costituzione, dovendo essere assicurata in ogni caso una risposta di giustizia a chi si oppone alla riscossione coattiva.
La Consulta dichiara, pertanto, l'illegittimità costituzionale dell'art. 57, comma 1, lettera a), citato limitatamente alla parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell'esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all'avviso di cui all'art. 50 del d.P.R. n. 602 del 1973, sono ammesse le opposizioni regolate dall'art. 615 del codice di procedura civile.
Corte Costituzionale, sent. 114/2018• Foto: 123rf.com