Per la Cassazione non è violato il bis in idem poiché le condotte datoriali eludono sia le norme sull'immigrazione che quelle sugli obblighi contributivi

di Lucia Izzo - Scatta sia la sanzione penale che quella amministrativa nei confronti del datore che impiega "in nero" lavoratori extracomunitari irregolari, privi del permesso di soggiorno.


Ciò non determina alcuna violazione del divieto di ne bis in idem in quanto le condotte datoriali ledono beni giuridici diversi: da un lato si violano le norme sull'immigrazione, dall'altro si elude l'assolvimento degli obblighi contributivi.


Così la Corte di Cassazione, sezione lavoro, si è pronunciata nella sentenza n. 12936/2018 (qui sotto allegata) pronunciandosi sul ricorso di un datore di lavoro.


Questi, in sede di merito, si era opposto, senza esito positivo, all'ordinanza-ingiunzione che gli intimava il pagamento di quasi 80mila euro per aver impiegato "in nero" lavoratori stranieri irregolari, non risultanti nelle scritture contabili o in altra documentazione obbligatoria.


In Cassazione, il ricorrente lamenta violazione del divieto di ne bis in idem in quanto il decreto penale di condanna notificatogli per aver violato l'art. 22, comma 12, del d.lgs 286/1998 n. 286 avrebbe perseguito lo stesso fine della sanzione amministrativa inflittagli attraverso l'opposta ordinanza-ingiunzione oggetto di causa.


A detta della difesa, unico sarebbe stato il bene giuridico tutelato, vale a dire la tutela del lavoro e la repressione del lavoro sommerso e irregolare; quindi, il concorso apparente di norme sanzionatorie coesistenti riguardanti lo stesso fatto avrebbe dovuto essere regolato alla luce del principio di specialità di cui all'art. 19, comma 1, del d.lgs n. 74/2000, in materia di rapporto tra procedimento amministrativo e procedimento penale, anzichè in base alla norma di cui all'art. 36 bis del d.lgs n. 286/98 applicata dalla Corte territoriale.

Sanzione penale e amministrativa per l'impiego "in nero" di lavoratori stranieri

Motivo che si appalesa totalmente infondato agli occhi degli Ermellini, che rammentano come diverse sono le finalità sottese nella fattispecie all'irrogazione della sanzione penale e di quella amministrativa, rispettivamente tramite l'emanazione del decreto penale di condanna e dell'ordinanza-ingiunzione opposta.


Non sussiste, infatti, alcuna violazione del principio del divieto del bis in idem avendo la Corte di merito, correttamente, posto in evidenza che l'illecito penale e quello amministrativo sanzionavano due condotte diverse che ledevano beni giuridici differenti.


Nel primo caso, infatti, il fatto penalmente perseguito era quello dell'avvenuto impiego di lavoratori extracomunitari clandestini e privi del permesso di soggiorno in violazione delle norme sull'immigrazione; nel secondo, invece, l'illecito amministrativo era rappresentato dall'avvenuto impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture contabili o da altra documentazione obbligatoria per legge.


In sostanza, l'elemento costitutivo del reato è incentrato sulla qualità soggettiva di lavoratore extracomunitario privo del permesso di soggiorno propria del soggetto impiegato clandestinamente, ma da questo si prescinde nell'ipotesi dell'illecito amministrativo in cui è determinante l'occupazione "in nero", ovvero l'impiego non indicato nelle scritture contabili o in altra documentazione obbligatoria.


Quest'ultimo elemento, invece, sarebbe stato necessario per verificare l'assolvimento degli obblighi contributivi da parte del datore di lavoro. Il ricorso deve, pertanto, essere respinto e il ricorrente condannato alla rifusione delle spese.

Cass., Sezione Lavoro, sent. n. 12936/2018

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