Per il Tribunale di Modena il figlio, seppur privo di redditi, non può permanere nella casa dei genitori contro la loro volontà, potendo al più richiedere gli alimenti

di Lucia Izzo - Non esiste nel nostro ordinamento una norma che obbliga il genitore a far vivere il figlio, ormai adulto e seppur privo di redditi, nella casa di sua proprietà contro la sua volontà.


Al più, il figlio maggiorenne in stato di bisogno potrà proporre domanda ad hoc per ottenere gli alimenti: anche in tal caso, trattandosi di un'obbligazione alternativa, il genitore eventualmente obbligato potrà adempiervi attraverso un assegno periodico anziché accogliendo e mantenendo l'avente diritto nella propria abitazione.


Lo ha precitato il Tribunale di Modena in una sentenza del 1° febbraio 2018 (qui sotto allegata) condannando il figlio sessantenne a lasciare l'immobile di proprietà della madre.

La vicenda

La donna, rappresentata dall'amministratore di sostegno, aveva chiesto l'immediato rilascio dei locali di sua proprietà occupati dal figlio spiegando al giudice che, anche a seguito della morte del marito, aveva sempre convissuto con questi al momento in cui si era spostata in una struttura per anziani.


Tale ricovero si era necessario a causa delle sue condizioni di non autosufficienza, al fine di seguire una terapia specialistica, nonché per la totale indifferenza e ostilità manifestata dal figlio al punto che la convivenza era divenuta intollerabile. Da qui la richiesta di rilascio posto che, dal momento del ricovero, nell'immobile era rimasto ad abitare il solo figlio che lo aveva occupato senza versare alcun canone o indennità.

Tuttavia, quest'ultimo risponde all'istanza della madre sottolineando come fossero stati i genitori ad avergli consentito di permanere nell'abitazione in adempimento spontaneo a un obbligo di mantenimento o comunque di natura alimentare, essendo egli privo di redditi e capacita di sostentamento.

Niente mantenimento al figlio maggiorenne superata una certa età

Tuttavia, il Tribunale non condivide la tesi dell'adempimento di un obbligo di mantenimento stante, al di là delle condizioni economiche, l'età del figlio (60 anni).

A tal proposito il giudice richiama precedenti giurisprudenziali (Tribunale di Milano, ord. del 29 marzo 2016) secondo cui "con il superamento di una certa età, il figlio maggiorenne, anche se non indipendente, raggiunge comunque una sua dimensione di vita autonoma che lo rende, se del caso, meritevole del diritto agli alimenti, ex articolo 433 del Codice civile, ma non più del mantenimento ex articoli 337-ter, 337-octies del Codice civile".

Inoltre (cfr. Cass. n. 18076/2014), in forza dei doveri di autoresponsabilità che su di lui incombono, il figlio maggiorenne non può pretendere la protrazione dell'obbligo al mantenimento oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, perché l'obbligo dei genitori si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione.

Nel tentativo di identificare un'età presuntiva i giudici rilevano, in linea con le statistiche ufficiali, nazionali ed europee, "che oltre la soglia dei 34 anni, lo stato di non occupazione del figlio maggiorenne non può più essere considerato quale elemento ai fini del mantenimento, dovendosi ritenere che, da quel momento in poi, il figlio stesso può, semmai, avanzare le pretese riconosciute all'adulto (vedi regime degli alimenti)".

Tuttavia, nel caso di specie non risulta che il figlio avesse mai avanzato richiesta di alimenti, né è stata fornita la prova che la madre, riconoscendo lo stato di bisogno del figlio e l'impossibilita per quest'ultimo di procurarsi mezzi di sostentamento, avesse inteso adempiere spontaneamente a un'obbligazione alimentare tenendo presso di se il figlio nell'immobile.

Il rapporto di convivenza tra genitori e figli maggiorenni

Il Tribunale ritiene di inquadrare la lunga convivenza del figlio presso la casa dei genitori alla stregua di un "negozio atipico di tipo familiare, concluso per fatti concludenti", figura già nota alla giurisprudenza in quanto utilizzata per inquadrare il rapporto tra conviventi more uxorio in relazione alla casa familiare in termini di detenzione qualificata e autonoma.

Posto che il rapporto di filiazione è diverso, non potendosi sciogliere liberamente come quello della convivenza, le due fattispecie sono assimilabili sotto il profilo del rapporto che si viene a instaurare con l'abitazione: anche la convivenza con il figlio maggiorenne, in assenza di obblighi di mantenimento, è rimessa alla libera determinazione delle parti

Infatti, si legge nel provvedimento, non è raro che i figli, divenuti maggiorenni, anche dopo aver raggiunto un'età tale da non poter essere in alcun modo beneficiari del diritto al mantenimento, permangano nella casa natale unitamente ai genitori, in virtù di un rapporto ormai consolidato di solidarietà e affetto familiare che trova fondamento negli artt. 2 e 29 della Costituzione. Quello che si instaura con il bene è dunque un rapporto tutelato e che costituisce una forma di detenzione qualificata.

Figli maggiorenni non autosufficienti: nessun obbligo di rimanere a casa dei genitori

Ciononostante, sottolinea il Tribunale, nel nostro ordinamento non vi è alcuna norma che attribuisca al figlio maggiorenne il diritto incondizionato di restare nell'abitazione di proprietà esclusiva dei genitori contro la loro volontà e in base al solo vincolo familiare, anche ove il figlio maggiorenne (quindi di un'età tale da non aver più diritto al mantenimento) versi in condizioni di non autosufficienza.

In tal caso, troverà applicazione la somministrazione alimentare ex art. 433 c.c. che dispone che il somministrante gli alimenti potrà adempiervi (obbligazione alternativa) non solo accogliendo o mantenendo nella propria casa chi ne ha diritto, ma con una modalità congrua diversa quale il riconoscimento di un assegno periodico. Nel caso esaminato, tuttavia, la questione non si pone non avendo il sessantenne formulato alcuna domanda di alimenti.

Ai genitori va dunque riconosciuto il diritto di richiedere al figlio convivente di rilasciare e liberare l'immobile occupato con il solo limite, imposto dal principio di buona fede, che sia concesso all'altra parte un termine ragionevole commisurato anche alla durata del rapporto.

Nell'accogliere la richiesta della madre, riconoscendole il diritto a rientrare nel possesso dell'immobile, il giudice condanna il figlio al rilascio dell'abitazione concedendogli, a tal fine, il termine di quattro mesi per ottemperare.

Tribunale di Modena, sent. 1 febbraio 2018

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