Per il Consiglio di Stato, in presenza di una convivenza evidente e dichiarata, la Questura dovrà valutare il rilascio del permesso a diverso titolo, ad esempio per motivi familiari

di Lucia Izzo - In presenza di un rapporto di convivenza evidente e dichiarato, la Questura non potrà emanare un provvedimento espulsivo per la sola assenza dei requisiti di reddito e di un reale rapporto di lavoro subordinato.


Sarà opportuno, all'uopo, valutare se sussistono i presupposti per rilasciare un permesso di soggiorno a diverso titolo, ad esempio per i motivi familiari di cui all'art. 30, comma 1, lett. b), del d. lgs. n. 286 del 1998.


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Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 5040/2017 (qui sotto allegata) accogliendo l'appello d una donna extracomunitaria che si era vista rigettare dal Questore la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, stante la mancanza di un reddito minimo idoneo al suo sostentamento sul territorio nazionale.

La vicenda

La donna impugna la decisione innanzi al T.A.R., chiedendone l'annullamento e contestando la mancata analisi della sua situazione di stabile convivenza con un cittadino italiano, formalmente suo datore di lavoro, che provvedeva al suo sostentamento.


Ciononostante, il Tribunale, all'esito dell'istruttoria disposta sul rapporto di lavoro dichiarato e sulla sufficienza dei redditi percepiti, respingeva il ricorso condannando la ricorrente alla rifusione delle spese di lite nei confronti dell'Amministrazione.


Innanzi al Consiglio di Stato, dopo aver ottenuto la sospensione dell'esecutività della sentenza impugnata (tante il rischio di subire una prevedibile espulsione nelle more del giudizio), la ricorrente ottiene, tuttavia, un dictum a lei favorevole.


Nonostante la donna avesse ammesso di aver messo in piedi formalmente un'assunzione e un rapporto di collaborazione domestica, quale unico modo per ottenere un permesso di soggiorno, la Sezione sottolinea come la ricorrente avesse già allegato e dimostrato di essere partner convivente di un cittadino italiano e di coabitare con lui e i due figli avuti da una precedente unione.

Permesso di soggiorno al convivente extracomunitario per motivi familiari

Pertanto, nonostante la sostanziale natura fittizia del rapporto di collaborazione domestica, ma a fronte di un rapporto di convivenza evidente e dichiarato, per il Collegio la Questura avrebbe dovuto valutare, ai sensi dell'art. 5, comma 9, del d. lgs. n. 286 del 1998, il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi familiari ai sensi dell'art. 30, comma 1, lett. b), del d. lgs. n. 286 del 1998.

Si tratta, secondo i giudici, di una disposizione che, seppur introdotta per regolare i rapporti sorti da unioni matrimoniali, non può non applicarsi, in base ad una interpretazione analogica imposta dall'art. 3, comma secondo, Cost., anche "al partner con cui il cittadino dell'Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata con documentazione ufficiale", secondo la formula prevista, seppure in riferimento al diritto di soggiorno di un cittadino di uno Stato membro UE dei suoi familiari in un altro Stato membro, dall'art. 3, comma 2, lett. b), del d. lgs. n. 30 del 2007.

Interpretazione che, spiegano i giudici, risponde non solo a un fondamentale e consolidato principio di eguaglianza sostanziale, consacrato a livello nazionale anche dall'art. 1, comma 36, della legge n. 76/2016 , ma anche dalle indicazioni provenienti dalla Corte europea dei diritti dell'uomo che in tale materia dove si è assistito a un'interpretazione nuova ed evolutiva del concetto di famiglia.

La Corte EDU, infatti, ha chiarito che la nozione di "vita privata e familiare", contenuta nell'art. 8, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo includa, ormai, non solo le relazioni consacrate dal matrimonio, ma anche le unioni di fatto nonché, in generale, i legami esistenti tra i componenti del gruppo designato come famiglia naturale.

Anche se l'attuale legislazione in materia di permessi di soggiorno non è stata ancora adeguata o comunque ben coordinata, sul punto, alle riforme introdotte dalla L. n. 76 del 2016 sulle unioni civili e di fatto, consentendo il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari anche al convivente straniero di cittadino italiano (purché ne ricorrano le condizioni, formali e sostanziali), ciò non osta all'applicazione mediata, anche in via analogica, degli istituti previsti dalla legislazione in materia di immigrazione per le unioni matrimoniali in forza dei principi costituzionali ed europei.

Il decreto questorile, nel caso di specie, va dunque annullato per essersi limitato solo al rilievo sui presupposto reddituali per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, senza aver, invece, valutato se, a fronte della situazione di fatto rappresentata in sede procedimentale, sussistessero o meno i presupposti, formali e sostanziali, per rilasciare un permesso a diverso titolo e, in particolare, per i motivi familiari di cui all'art. 30, comma 1, lett. b), del d. lgs. n. 286/ 1998,

disposizione da applicarsi necessariamente, in via analogica, anche alla convivenza di fatto della straniera, odierna appellante, con il cittadino italiano.

L'amministrazione, conclude il Collegio, dovrà rivalutare la domanda dell'interessata secondo i principî sopra enunciati, previa verifica di una stabile relazione di convivenza, ai sensi della legislazione vigente, con il cittadino italiano.



Consiglio di Stato, sent. 5040/2017

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