Per la Cassazione l'attitudine del coniuge al lavoro rileva solo se emerge un'effettiva possibilità di svolgere un lavoro retribuito

di Lucia Izzo - L'attitudine del coniuge al lavoro, in ambito di assegno di mantenimento a seguito di separazione, assume rilievo solo se è pervenuta un'effettiva possibilità di svolgimento dell'attività lavorativa retribuita. In altre parole, il partner onerato dall'assegno potrà eccepire la capacità lavorativa dell'altro, beneficiario, soltanto se è subentrata concretamente una possibilità di lavoro.


È quanto si desume dall'ordinanza della sesta sezione civile della Corte di Cassazione, n. 28938/2017 (qui sotto allegata) che ha respinto il ricorso di un libero professionista che contestava la sentenza che, a seguito della separazione intercorsa, aveva posto a suo carico l'assegno di mantenimento da corrispondere alla moglie.


Per il giudice a quo, secondo i fatti oggettivi e incontroversi emersi in corso di causa, doveva ritenersi che i coniugi avessero deciso di comune accordo che la donna non avrebbe lavorato per dedicarsi alla casa e alla famiglia. A seguito della separazione, pertanto, la moglie risultava priva proprietà e altre fonti di reddito, eccetto l'assegno di mantenimento.


Un esborso spettantele, secondo la Corte territoriale, posto che il marito risultava essere un affermato professionista proprietario di diversi immobili.

Separazione: l'assegno va determinato in base al tenore di vita

Infatti, l'entità dell'assegno di separazione va determinato in relazione alle circostanze e ai redditi dell'obbligato, raffrontando le rispettive situazioni reddituali e patrimoniali dei coniugi e, sulla scorta dei dati che ne consentano una ricostruzione attendibile, il fine è quello di assicurare al coniuge economicamente più debole un tenore di vita tendenzialmente simile a quello goduto in costanza di matrimonio.


Una ricostruzione avallata dalla Cassazione che rammenta, nuovamente, come la separazione personale, a differenza dello scioglimento con cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale.


Pertanto, i "redditi adeguati" cui, ex art. 156 c.c., va rapportato l'assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell'addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.


Infatti, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, non sussiste alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione. Si tratta, sostanzialmente, di una situazione dalla consistenza diversa rispetto alla solidarietà post coniugale, presupposto dell'assegno di divorzio.

Mantenimento: non basta l'astratta capacità lavorativa

La sentenza impugnata viene ulteriormente criticata dal ricorrente per non avere considerato l'astratta capacità lavorativa della moglie.


Sul punto, la sesta sezione richiama la giurisprudenza pregressa (sent. n. 789/2017) secondo cui, in riferimento all'assegno di mantenimento a seguito di separazione, l'attitudine del coniuge al lavoro assume rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva sopravvenuta possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fatto individuale, ambientale e non di mere valutazioni astratte e ipotetiche.

In sostanza, deve esservi una concreta possibilità di lavoro retribuito offerta al coniuge che va adeguatamente dimostrata, ma nulla di tutto ciò è emerso dalle contestazioni del ricorrente. Pertanto, il suo ricorso va rigettato.

Cass., VI civ., ord. 28938/2017

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