Avv. Francesco Pandolfi - Sappiamo che non sempre è facile riuscire ad identificare e soprattutto
dimostrare in una causa l'esistenza del
mobbing.
Il Consiglio di
Stato, a proposito della
domanda di mobbing proposta da un ex appartenente alla Polizia di
Stato, dispensato dal servizio per motivi psico fisici e vittima di persecuzioni da parte di funzionari dell'amministrazione, ha condensato alcuni
principi utili da ricordare in situazioni analoghe, nel caso in cui l'interessato stia valutando di intraprendere un'azione legale tesa al risarcimento dei danni subiti per effetto delle condotte vessatorie.
Cosa dice il Consiglio di Stato
I magistrati ci dicono che il
mobbing deriva da una
condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico:
a) complessa,
b) continuata e protratta nel tempo,
c) tenuta nei confronti di un lavoratore nell'ambiente di lavoro,
d) che si manifesta con comportamenti ostili e reiterati,
e) che esprime un disegno persecutorio o vessatorio,
f) che produce danni alla salute della vittima.
Inoltre, i Giudici (C.d.S. III, 1 agosto 2014 n. 4105) spiegano che per identificare la condotta lesiva del datore di lavoro, bisogna accertare vari elementi costitutivi, dati da:
g) molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio,
h) condotte che possono essere lecite o illecite,
i) condotte mirate e prolungate contro il dipendente,
k) comportamenti produttivi di danno alla salute psico fisica del dipendente,
l) la presenza dell'intento persecutorio (elemento soggettivo),
m) nesso tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell'integrità psico fisica del lavoratore.
Nel
lavoro pubblico, per poter configurare un'ipotesi di
mobbing è necessario un
disegno persecutorio tale da rendere tutti gli atti dell'amministrazione, compiuti in esecuzione di tale sovrastante disegno, non funzionali all'interesse generale a cui sono per legge diretti.
Interessante è il ragionamento dei Magistrati sull'aspetto della
prova in giudizio del
mobbing.
Dice il Consiglio che (in causa) il lavoratore non può limitarsi alla narrazione di essere
stato vittima di
mobbing oppure allegare l'esistenza di specifici atti illegittimi, ma deve dimostrare la sistematica prevaricazione perpetrata dal datore (C.d.S., IV, 6 agosto 2013 n. 4135).
Utile è anche l'osservazione che la domanda di
risarcimento dei danni derivati da illecito
demansionamento e
mobbing sarà accolta quando il dipendente avrà tempestivamente impugnato i provvedimenti organizzativi adottati dall'amministrazione nell'ambito della sua attività gestionale, da cui deriva il peggioramento del rapporto lavorativo (C.d.S., VI, 4 novembre 2014 n. 5419).
I conflitti datore - dipendente possono sfociare in fenomeni di
mobbing e la ripetizione delle condotte persecutorie del superiore può portare a conseguenze nefaste per la salute del lavoratore.
Cosa fare in questi casi
Agire in giudizio solo se si è certi di poter dimostrare ogni componente della complessa fattispecie.
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