di Lucia Izzo - I permessi previsti dalla legge all'art. 33, comma 3, L. 104/92 (per approfondimenti: La legge 104: i permessi retribuiti) non hanno una funzione meramente compensativa o di ristoro delle energie impiegate dal dipendente per l'assistenza prestata al familiare: la fruizione del permesso da parte del dipendente deve porsi in nesso causale diretto con lo svolgimento di un'attività identificabile come prestazione di assistenza in favore del disabile per il quale il beneficio è riconosciuto. In caso contrario, l'uso improprio del permesso può integrare una grave violazione intenzionale degli obblighi gravanti sul dipendente, idonea a giustificare anche la sanzione del licenziamento.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza n. 17968/2016 (qui sotto allegata) rigettando il ricorso di una donna, licenziata dal Comune presso la quale era dipendente. La pronuncia è allineata con la giurisprudenza della Corte che, in più occasioni, si è espressa sull'uso abusivo del beneficio (per approfondimenti: Permessi legge 104: illegittimo l'uso parziale e anche Permessi legge 104: l'abuso è reato).
Alla ricorrente era stato contestato di aver utilizzato complessivamente 38 ore e 30 minuti di permesso ai sensi dell'art. 33 L. 104/92, fruiti per finalità diverse dall'assistenza alla madre disabile, specificamente per recarsi a Milano a frequentare le lezioni universitarie di un corso di laurea.
I fatti erano dimostrati dalle indagini svolte dalla polizia che aveva pedinato e osservato la dipendente nelle giornate di fruizione dei permessi.
Licenziamento legittimo secondo la Corte distrettuale, la quale ha evidenziato che la fruizione dei permessi, comportando un disagio per il datore di lavoro, è giustificabile solo a fronte di un'effettiva attività di assistenza, mentre l'uso improprio del permesso costituisce grave violazione intenzionale degli obblighi gravanti sul dipendente. Inoltre, la tutela offerta dalla legge non ha funzione di ristoro compensativo delle energie spese per l'accudimento del disabile.
Priva di pregio, per il giudice a quo, anche la tesi della lavoratrice secondo cui l'attività assistenziale veniva svolta di sera, al rientro da Milano: si rammenta che l'attività di assistenza deve essere necessariamente svolta in coincidenza temporale con i permessi accordati.
Concorde la Cassazione che, nel pronunciarsi sull'infondatezza del ricorso, chiarisce che il diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa spetta al "lavoratore dipendente ... che assiste persona con handicap in situazione di gravità...", è riconosciuto dal legislatore in ragione dell'assistenza, la quale è causa del riconoscimento del permesso.
Essendo questa la ratio del beneficio, e in mancanza di specificazioni ulteriori da parte del legislatore, l'assenza dal lavoro per la fruizione del permesso deve porsi in relazione diretta con l'esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia l'assistenza al disabile.
Nessun elemento testuale o logico consente di attribuire al beneficio una funzione meramente compensativa o di ristoro delle energie impiegate dal dipendente per l'assistenza prestata al disabile, come ha tentato di affermare la ricorrente. Tanto meno la norma consente di utilizzare il permesso per esigenze diverse da quelle proprie della funzione cui la norma è preordinata: difatti, il beneficio comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro, giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute dal legislatore (e dalla coscienza sociale) come meritevoli di superiore tutela. Ove il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile manchi del tutto, come nel caso in esame, si è in presenza di un uso improprio ovvero di un abuso del diritto.
Cass., sezione lavoro, sent. n. 17968/2016• Foto: 123rf.com