Confermata la condanna a un anno e otto mesi di reclusione all'imputato che ha palpeggiato repentinamente le natiche di una donna approfittando dell'affollamento

di Lucia Izzo - Va condannato per violenza sessuale chi palpeggia il sedere tra la folla e neppure si pente del gesto. Su questo ha deciso la Corte di Cassazione, terza sezione penale, nella sentenza n. 36103/2016 (qui sotto allegata) confermando a carico del cittadino pakistano la pena (anni uno e otto mesi di reclusione) per il reato di violenza sessuale, punito dall'art. 609-bis del codice penale.


Una pronuncia che si aggiunge a quelle su cui di recente la Suprema Corte ha statuito circa il medesimo reato (per approfondimenti: Pacca sul sedere: è reato se la mano rimane sul lato B e anche Cassazione: anche la leccata repentina è violenza sessuale).


Nel caso di specie, all'uomo era contestato di avere, usando violenza, costretto una donna a subire atti sessuali "consistiti nel palpeggiare repentinamente le natiche della donna e strusciare le dita tra le stesse".


La Corte territoriale aveva sostenuto la sussistenza di un quadro probatorio univoco a carico dell'uomo, desumibile dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa e avvalorate dalle circostanze di tempo e di luogo.

Lo scarso controllo degli istinti da parte dell'imputato e la sfrontatezza della condotta avrebbero giustificato la mancata concessione delle attenuanti generiche (anche per la mancanza di gesti di pentimento).


Inutile per l'uomo eccepire la mancanza di alcuna sostanziale motivazione circa il diniego sulla richiesta di concessione delle attenuanti generiche. Per gli Ermellini la Corte d'Appello ha convincentemente motivato la congruità della pena e il diniego delle attenuanti generiche con il gesto, valutato particolarmente odioso, perché repentino e attuato in un contesto nel quale l'affollamento e l'indifferenza generale avrebbero potuto garantire l'impunità dell'agente.


Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, precisa il Collegio, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione.


Priva di fondamento anche la doglianza riguardante l'omessa traduzione sia del decreto di citazione a giudizio immediato nel procedimento di primo grado, quanto quello di citazione per il giudizio di appello, in lingua pakistana, l'unica conosciuta dall'imputato: infatti la nullità derivante dall'omessa traduzione del decreto di citazione a giudizio per l'imputato alloglotta che non comprende l'italiano è di ordine generale a regime intermedio e deve, pertanto, ritenersi sanata qualora non sia tempestivamente eccepita.


Nel caso di specie è inammissibile perché tardiva la doglianza mossa dal ricorrente che avrebbe dovuto proporre quella inerente il decreto di giudizio immediato nel corso del primo grado e quello di citazione per il giudizio di appello nel corso dello stesso processo di secondo grado.


Cass., III sez. pen., sent. n. 36103/2016

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