I presupposti per la concessione del provvedimento di sospensione

Avv. Laura Bazzan - Ai sensi dell'art. 1137 c. 3 c.c., la sospensione dell'esecuzione non costituisce un effetto automatico dell'impugnazione della delibera assembleare ma deve essere espressamente disposta dal giudice su domanda di parte. In altre parole, la delibera, ancorché nulla o annullabile, è immediatamente esecutiva e conserva la propria vincolatività nei confronti di tutti i condomini se non impugnata e, anche quando impugnata, il condomino non può sottrarsi al pagamento dei contributi condominiali in assenza di apposita pronuncia giudiziale sospensiva emessa su richiesta dello stesso. 

L'istanza di sospensione può essere presentata anche prima dell'inizio del giudizio di merito, senza sortire alcun effetto sospensivo o interruttivo del termine per la proposizione dell'impugnazione; in caso di sospensione disposta ante causam, stante l'esplicita esclusione dell'applicabilità dell'art. 669-octies c. 6 c.p.c. prevista dall'art. 1137 c. 4 c.c., la mancata proposizione dell'impugnazione comporta la caducazione del provvedimento cautelare. La natura cautelare del provvedimento di sospensione, desumibile dal richiamo normativo alla disciplina di cui agli artt. 669-bis e ss. c.p.c., impone che, per trovare accoglimento, la relativa istanza debba essere formulata motivando adeguatamente circa la sussistenza del fumus boni iuris (apparente fondatezza della domanda) e del periculum in mora (rischio di grave pregiudizio dall'esecuzione della delibera). In proposito, secondo un orientamento giurisprudenziale risalente ma piuttosto diffuso, la sola patrimonialità del pregiudizio escluderebbe di per sé la sussistenza del periculum inteso come rischio di irreversibile lesione, neppure integralmente risarcibile (ex multis, cfr. Tribunale Padova, 11.07.2003; Tribunale Nocera Inferiore, 02.02.2001; Tribunale Bologna, 19.01.1995). 

Più recentemente, osservando che, nell'individuare quale debba essere il pregiudizio idoneo alla sospensione della delibera cautelare, dottrina e giurisprudenza oscillano tra il richiamo ai requisiti richiesti dall'art. 700 c.p.c. e la previsione di cui all'art. 2378 c.c. sull'annullamento delle delibere dell'assemblea delle società di capitali per il quale la Cassazione ha individuato identità di ratio, il Tribunale di Venezia con ordinanza del 18.03.2014 ha suggerito una valutazione comparativa tra il pregiudizio patito dall'istante in caso di mancata sospensione della delibera

e quello subito dal condominio in caso di sospensione della stessa, evidenziando come "ricorrerebbero le condizioni per la concessione della tutela invocata non già in presenza di un pregiudizio irreparabile, quale quello richiesto dall'art. 700 c.p.c., ma in ragione di un danno ingiusto purché di intensità tale da sopravanzare le opposte ragioni del condominio alla conservazione dell'efficacia della delibera. Più precisamente, maggiore sarà l'incidenza della sospensione sulla gestione della cosa comune, tanto più grave dovrà essere il pregiudizio lamentato dalle parti ricorrenti. Al contrario, laddove la sospensiva non dovesse in alcun modo compromettere la predetta gestione, la cautela potrebbe essere concessa sulla scorta di un qualsiasi pregiudizio, anche di natura patrimoniale purché ingiusto". D'altra parte, l'art. 700 c.p.c. riveste il carattere di norma speciale di applicazione residuale e sussidiaria, di talché non appare neppure corretta una sua interpretazione analogica con riferimento ai provvedimenti cautelari tipici, tra cui quello ex art. 1137 c. 4 c.c., circa il requisito di irreparabilità del pregiudizio.

Il provvedimento di sospensione è volto ad assicurare in via preventiva gli effetti dell'emananda sentenza di merito e rimane modificabile e revocabile, sino alla pronuncia che decide dell'impugnazione dalla quale verrà sostituito, nonché reclamabile ex art. 669-terdecies c.p.c. La competenza funzionale a decidere sulla sospensione è riservata al giudice dell'impugnazione, fermo il combinato disposto degli artt. 669-ter-669-quater c.p.c. sull'incompetenza del giudice di pace in caso di giudizio di merito avanti al medesimo ratione valoris


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