La retribuzione percepita infatti non consente alla donna di conservare lo stile di vita goduto durante il matrimonio

di Marina Crisafi - Va confermato il diritto all'assegno di mantenimento se l'ex trova lavoro ma percepisce un reddito basso che non le consente di conservare il tenore di vita goduto durante il rapporto matrimoniale. A stabilirlo è la sesta sezione civile della Cassazione, con l'ordinanza n. 6433/2016 (depositata il 4 aprile e qui sotto allegata), rigettando il ricorso di un uomo che contestava la conferma da parte del giudice d'appello dell'onere di corrispondere l'assegno alla ex moglie.

L'uomo denunciava la violazione e falsa applicazione dell'art. 5 della legge n. 898/1970 poiché, ai fini del riconoscimento e della determinazione dell'assegno, la sentenza impugnata non aveva tenuto conto della capacità lavorativa della ex moglie, comprovata dalla giovane età e dalla titolarità di un impiego retribuito, né della sua possibilità di aspirare ad un'occupazione più adeguata alle sue esigenze economiche, trascurando inoltre la breve durata del rapporto coniugale, che aveva impedito la maturazione di aspettative in ordine al mantenimento di un elevato standard di vita.

Ma per gli Ermellini la sentenza è corretta essendosi il giudice di merito semplicemente attenuto all'orientamento consolidato della giurisprudenza che, ai fini del riconoscimento del diritto all'assegno, "nell'ambito del relativo accertamento distingue due fasi, la prima diretta a verificare l'esistenza del diritto in astratto, in relazione all'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio

e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto, e la seconda volta alla determinazione in concreto dell'assegno, sulla base delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione e del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, nonché del reddito di entrambi, da valutarsi anche in rapporto alla durata del matrimonio".

Nulla da eccepire, inoltre, circa la valutazione dell'adeguatezza delle risorse economiche a disposizione della donna: la corte di merito infatti, secondo piazza Cavour, non ha affatto omesso di conferire rilievo alla capacità lavorativa della stessa, avendo dato atto che a seguito della separazione la donna aveva trovato un lavoro come dipendente, ma avendo anche accertato che la relativa retribuzione non le consentiva "di mantenere un tenore di vita comparabile a quello goduto nel corso della convivenza", né peraltro che la stessa, in conseguenza dell'età e della crisi economica poteva essere in grado di trovare un'occupazione più adeguata.

Ciò in piena conformità al principio più volte ribadito dalla S.C. secondo cui "la mera attitudine al lavoro del coniuge che richiede l'assegno non è sufficiente, se valutata in modo ipotetico ed astratto, a dimostrare il possesso di un'effettiva capacità reddituale, dovendosi tener conto delle concrete prospettive occupazionali connesse a fattori di carattere individuale ed alla situazione ambientale, nonché delle reali opportunità offerte dalla congiuntura economico-sociale in atto" (cfr., tra le altre, Cass. n. 21670/2015).

Né, infine, può trovare accoglimento la doglianza relativa alla breve durata del matrimonio, giacché la funzione eminentemente assistenziale dell'assegno, volto a tutelare il coniuge economicamente più debole, hanno chiosato i giudici, "esclude la possibilità di negarne l'attribuzione in virtù della breve durata della convivenza, la quale può venire in considerazione, in concorso con altri elementi, esclusivamente ai fini della commisurazione del relativo importo".

Da qui il rigetto in toto del ricorso oltre alla condanna alle spese.

Cassazione, ordinanza n. 6433/2016

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