Gli Stati devono rispettare i principi CEDU di non discriminazione e sul diritto alla vita privata e familiare

Va riconosciuto il permesso di soggiorno per ricongiungersi al proprio partner, anche se la coppia è omosessuale.

Nonostante gli Stati mantengano una certa libertà per quanto riguarda le politiche sull'immigrazione, queste non potranno mai spingersi al punto di violare il diritto alla vita familiare degli individui.

È quanto emerge dal caso PAJIĆ v. CROATIA (Application no. 68453/13) su cui si è espressa la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo il 23 febbraio 2016.


La decisione (qui sotto allegata in inglese) trae origine dalla vicenda di una cittadina bosniaca, la cui richiesta di soggiorno in Croazia, per ricongiungersi alla propria compagna, era stata respinta dalle autorità locali.

La donna aveva evidenziato di avere una relazione da altre due anni con donna residente a Sisak, città dove entrambe avrebbero voluto stabilire una convivenza a lungo termine, così da evitare i continui spostamenti per potersi incontrare e stare insieme.

Il rigetto della richiesta è basato su provvedimenti locali che non considerano il partner dello stesso sesso un membro della famiglia tale da poter giustificare il ricongiungimento.


La Corte EDU evidenzia in un simile comportamento una chiara violazione della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo, in particolare dell'art. 8, sul diritto al rispetto della vita privata e familiare, e dell'art. 14, riguardante il divieto di discriminazione.


Senza alcun dubbio, precisa la Corte, la relazione tra coppie same-sex ricade nell'ambito di applicazione dell'art. 8 e della nozione di "vita privata" e la stessa relazione tra la ricorrente e la compagna rappresenta svolgimento di vita familiare.

Infatti, la giurisprudenza ha riconosciuto il diritto alla vita familiare sia alle coppie sposate che alle coppie di fatto, incluse le coppie omosessuali, che pertanto godono di pari diritti rispetto a quelle eterosessuali.


La Corte rileva la crescente tendenza di molti Stati Europei a riconoscere legalmente le coppie di fatto omosessuali, evoluzione che rende "artificiale" mantenere in vita una differenziazione tra coppie etero e omosessuali per quanto riguarda la possibilità di stabilire legalmente una relazione riconosciuta, almeno di fatto, come è avvenuto per le coppie same sex.


Lo Stato, nonostante l'ampia discrezionalità in materia di immigrazione non può spingersi al punto tale da violare i diritti umani, in particolare il diritto al rispetto della propria vita privata o familiare.

Una eventuale differenza di trattamento dovrebbe essere supportata da una valida, oggettiva e ragionevole giustificazione, che rispetti il principio di proproionalita tra i mezzi  impiegati e lo scopo perseguito.

Nel caso una disparità di trattamento basata sul sesso o sull'orientamento sessuale il margine di discrezionalità lasciato agli Stati è particolarmente stringente: nel caso di specie le autorità domestiche competenti non hanno fornito alcuna motivazione per giustificare la differenza di trattamento tra coppie etero e omosessuali nel diritto alla riunificazione familiare.


Pertanto, le disposizioni della legge sugli stranieri, con cui lo stato esclude le coppie dello stesso stesso dalla possibilità di ottenere il ricongiungimento familiare, non possono essere considerate compatibili con gli standard previsti dalla Convenzione.

In effetti, come già osservato in precedenza, una differenza di trattamento basata esclusivamente o in modo decisivo su considerazioni riguardanti l'orientamento sessuale del richiedente equivarrebbe a una distinzione che non è accettabile ai sensi della Convenzione.

CEDU, PAJIĆ v. CROATIA, 23 Febbraio 2016

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