Vietato recepirne acriticamente le valutazioni nel giudizio civile senza considerare il criterio di giudizio seguito dal consulente

di Lucia Izzo - Al fine di valutare la responsabilità civile in capo ad una struttura sanitaria per i danni riportati dal paziente, il nesso causale è soggetto ad una differente regola probatoria rispetto al giudizio penale, quindi alla prova "oltre ogni ragionevole dubbio" si sostituisce il meccanismo del "più probabile che non" o della preponderanza dell'evidenza.


È su questo presupposto che si snoda il giudizio della Corte di Cassazione che con la sentenza 15857/2015 risponde al ricorso presentato da un paziente contro la struttura ospedaliera nel quale veniva sottoposto ad una serie di interventi e all'amputazione della gamba.

L'uomo giunge presso l'ospedale a seguito di un incidente sul lavoro, colpito da una scheggia di vetro alla parte inferiore della gamba, nel quale gli viene diagnosticata "una frattura pluriframmentaria di tibia e perone con ferita lacero-contusa alla gamba sinistra e lesione vascolare".

Tuttavia, le prime due operazioni non consentono il recupero della corretta circolazione sanguigna, pertanto i medici sottopongono il paziente ad un terzo intervento "demolitvo" di amputazione della gamba sinistra all'altezza del polpaccio.

Una grave infezione nel post-operatorio, con estesa necrosi muscolare, determina il trasferimento del paziente (dopo 20 giorni) presso altro ospedale in cui si susseguono un primo intervento per conservare l'articolazione del ginocchio, ma senza esito positivo a causa dell'estensione della necrosi, e una quinta ed ultima operazione in cui l'amputazione provoca la perdita del ginocchio.

A seguito di tale odissea medica, l'uomo vede la Corte d'Appello di Ancona ritenere non addebitabile alcuna responsabilità medica all'ospedale e all'equipe, in quanto trattasi di colpa lieve "presentando la situazione particolari difficoltà tecniche".

Di tutt'altra opinione i giudici di Piazza Cavour che ritengono la sentenza impugnata correttamente motivata nella prima parte, ossia nel descrivere la ricostruzione in fatto delle complesse condizioni dell'infortunato e i rischi sottesi alla sua condizione "anche sulla base delle considerazioni sia del c.t.u. di primo grado, sia del consulente di parte, sia delle osservazioni del c.t. in sede penale" che avevano previsto in percentuali diversificate la possibile perdita dell'arto.

La stessa sentenza è però lacunosa e contraddittoria nel descrivere i momenti salienti della permanenza dell'uomo presso il nosocomio, "specie in relazione alla fase post-operatoria".

Manca, in sostanza, "una adeguata ricostruzione complessiva dei fatti, ed una adeguata scansione di ogni passaggio" della vicenda, poiché questa è scandita da una serie prolungata e articolata di momenti clinici che, singolarmente considerati, possono aver avuto un "apporto autonomo causale sulla situazione finale e sulla eventuale responsabilità dei sanitari".

Ne consegue che la sentenza avrebbe dovuto valutare adeguatamente l'incidenza causale dei singoli segmenti e considerare se il comportamento tenuto dai sanitari in ognuno di essi fosse risultato "conforme agli standards esigibili di diligenza e prudenza".

La valutazione dell'operato dell'equipe secondo "regole di perizia e diligenza" si rende necessaria in quanto l'accertata colpa lieve può esimere da responsabilità in caso di operazioni particolarmente complesse soltanto sotto il profilo dell'imperizia e non della negligenza.

La complessità della degenza e del decorso post operatorio impone una precisa spiegazione circa i motivi per ritenere insussistente il nesso causale con il comportamento della struttura poiché il nosocomio potrebbe essere "responsabile, se non della mancanza di una integrale guarigione, della sofferenza dovuta alle cinque operazioni e della condizione particolarmente grave di invalidità nella quale si è ritrovato al termine del suo percorso ospedaliero" il paziente.

Essendo il quantum probatorio richiesto dal processo civile ispirato alla regola probatoria del "più probabile che non", i giudici di merito non avrebbero dovuto fondare la ricostruzione del nesso di causalità su di una perizia penale.

Seppur sia consentito, nel valutare la configurabilità del nesso causale tra la condotta dei sanitari e gli esiti della vicenda ospedaliera, "trarre gli elementi di fatto da porre a fondamento del proprio giudizio da una perizia penale" non è consentito, invece, "farne proprie acriticamente le valutazioni" senza considerare se il consulente abbia utilizzato il criterio di giudizio penalistico che prevede l'esclusione della responsabilità se non è raggiunta la certezza oltre ogni ragionevole dubbio, in luogo del diverso criterio civilistico che afferma il nesso causale "ove appaia più probabile che determinate conseguenze pregiudizievoli non si sarebbero verificate, in tutto o in parte, in mancanza di determinate condizioni".

L'accoglimento del ricorso, per tali motivi, porta alla cassazione della sentenza impugnata e al rinvio per conformarsi ai principi di diritto espressi.

Qui di seguito il testo della sentenza

Corte di Cassazione, III sez. Civile, sent. 15857/2015

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