La Cassazione conferma la condanna per maltrattamenti a carico di un padre che usava la violenza a scopi educativi

di Marina Crisafi - Schiaffi, umiliazioni e rimproveri continui nell'educazione dei figli integrano il reato di maltrattamenti in famiglia anche se inflitti a scopo educativo. Lo stop arriva dalla Cassazione, con la sentenza n. 30436/2015 depositata ieri (qui sotto allegata), intervenuta a pronunciarsi sul ricorso di un padre di Pordenone condannato dalla Corte d'Appello di Trieste a un anno e otto mesi di carcere per aver maltrattato il figlio minore provocandogli anche lesioni personali.

L'uomo impugnava la sentenza di merito eccependo che le condotte messe in atto (maltrattamenti, umiliazioni e rimproveri continui) avevano uno scopo pedagogico, erano finalizzate cioè ad educare il figlio, potendo integrare al massimo il meno grave reato punito dall'art. 571 c.p.

Ma la sesta sezione penale non ha dubbi: l'abuso dei mezzi di correzione violenti anche se sostenuto da "animus corrigendi" concretizza il reato di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p., poichè "l'intenzione soggettiva non è idonea a fare rientrare nella fattispecie meno grave una condotta oggettiva di abituali maltrattamenti, consistenti in continue umiliazioni, rimproveri anche per futili motivi, offese e minacce, violenze fisiche".

Il termine correzione, ricordano infatti i giudici del Palazzaccio rigettando il ricorso, va assunto come sinonimo di educazione e tale non può ritenersi "l'uso abituale della violenza a scopi educativi, sia per il primato che l'ordinamento attribuisce alla dignità delle persone, anche del minore, ormai soggetto titolare di specifici diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione, sia perché non può perseguirsi quale meta educativa lo sviluppo armonico della personalità usando un mezzo violento che tale fine contraddice". 

Cassazione penale, testo sentenza 30436/2015

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