Il lavoratore che utilizza il computer dell'ufficio per accedere a siti pedopornografici integra sia il reato di appropriazione indebita aggravata che quello di interruzione di pubblico servizio.
Ad affermarlo è la seconda sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con sentenza
n. 27528 del 25 giugno scorso, in una vicenda inerente un dipendente comunale condannato sia in primo che in secondo grado per i reati di cui agli art. 61, n. 11, e 340 codice penale, per aver utilizzato il pc dell'ufficio per navigare online e accedere a siti pedopornografici, approfittando dell'assenza dell'addetto e avendo la disponibilità dei locali.Condividendo le conclusioni della corte territoriale, la Suprema Corte ha evidenziato che, accertato il fatto contestato (anche attraverso il materiale relativo allo sfruttamento minorile acquisito nella cartella dei files temporanei di internet), è irrilevante la circostanza che l'azienda, quale parte offesa, non avrebbe subito danni economici, avendo stipulato un contratto flat con la compagnia telefonica, con un unico e solo costo periodico.
Difatti, per la Cassazione, considerato che "il fatto, così come ricostruito, si è sostanziato non nell'uso dell'apparecchio telefonico come oggetto fisico, ma nell'appropriazione delle energie costituite da impulsi elettronici che erano entrate a far parte del patrimonio della parte offesa", la condotta dell'agente integra l'ipotesi di appropriazione indebita (Art. 646 codice penale).
Quanto al reato di interruzione di pubblico servizio, la Cassazione ha rilevato che "distogliendo il computer dalla gestione dell'impianto pubblico di illuminazione comunale per destinarlo all'accesso ai siti pornografici" l'imputato ha causato, per tutta la durata dei collegamenti illeciti, l'interruzione del servizio svolto nell'interesse pubblico, realizzando pertanto "il reato contestato di cui all'art. 340 codice penale".
Testo sentenza Corte di Cassazione n. 27528/2014